Una delle peggiori discriminazioni di genere a cui assistiamo tutti ogni giorno è la differenza sociale fra uomini e donne dopo una certa età. Al netto di come ci si porta gli anni, infatti, cala un non scritto ma generalizzato intendimento che l’uomo non invecchia ma matura, migliora, abbia una vita sessuale ancora ricca di aspettative emozionanti mentre la donna invecchia e basta senza troppe sfumature, tra sbalzi umorali della menopausa, rughe e infertilità.
Premesso che con questo articolo non voglio portare acqua a discorsi prettamente commerciali di “eterna giovinezza” che, in quanto tale, ci drogano di sciocchezze imponendoci di essere eterni consumatori, il fine è altro ovvero sfatare il mito di quella differenza fra uomini e donne che fa sì che le seconde subiscano una zavorra sociale data proprio dall’ingiusto confronto.
Gancio è stata una recente copertina di una nota rivista (femmine tra l’altro) che così titolava “Avere un figlio a 60 anni? Un elisir di giovinezza – Molti uomini scelgono di ridiventare padri in tarda età pur avendo già dei nipotini, come il Presidente della Puglia Michele Emiliano. “Così ci si sente ancora forti e si ferma il tempo” dicono gli esperti” e via di casi di padri famosissimi che hanno figliato fino alla soglia della bara (Roberto Cavalli docet) con la benedizione di psicologi: “Un figlio tuo ti rimette in circolo la libido, il desiderio, l’idea di essere ancora in gioco. I padri poi fanno meno fatica delle mamme: quando c’è un neonato alla fine la cura grava più sulla figura materna. Quindi per i papà-nonni ci sono solo vantaggi”.
Ed è proprio questo il punto (detto a bassa voce e ben infilato in seconda pagina): fare i nonni-papà significa delegare la fatica del crescere un bambino ad un altro (nello stereotipo generale, la giovane madre). E allora diciamolo bene che fare i nonni-papà significa fare i padri a metà, che i vantaggi sono solo nel “prendere” ma non nel “dare”, che essere padri non significa solo procreare ma anche formare ed educare un figlio ogni giorno e 24 ore al giorno e che questo comporta fatica. Fisica e mentale. E neppure poca.
Diciamolo che esistono i padri assenti, quelli che spariscono per rifarsi una vita, quelli che barattano le priorità dei figli con le proprie asciugandosi la coscienza con l’assegno di mantenimento, quelli che viene prima il lavoro, quelli che siccome “la madre è sempre la madre” loro possono uscire ogni sera, quelli che nel loro delirio di giovinezza coinvolgono gli amici dei propri figli e così via. Padri per genetica ma non per virtù e che, fra questi, rischiano di finire anche questi osannati nonni-papà.
Che qualità di paternità potrà mai offrire un padre ultrasessantenne?
All’articolista non interessa perché basta che “rimetta in circolo la libido” di questi maschietti eternamente dipendenti dalla loro virilità e poco fa se questo avviene a spese di una nuova vita, di neonato, di una madre che dovrà sopportare un doppio carico (se non triplo perché nel giro di poco dovrà fare pure la badante dell’anziano compagno) e dell’aspettativa di vita dove il papà-nonno passerà direttamente dai pannolini del bebè ai suoi, l’importante è “sentirsi ancora forti e fermare il tempo”.
Non ho mai letto una cosa così stupida, vecchia, stereotipata e maschilista.
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