Dietro alla pellicola per alimenti che finisce nel nostro frigo c’è una delle leve indispensabili per la tenuta economica e la crescita del nostro Paese: la ricerca. Un campo che non è appannaggio delle università, ma proviene soprattutto dalle aziende. Per gli esperti di economia questo è un concetto scontato, ma non lo è affatto per tutti i cittadini, malgrado fruiscano quotidianamente dei risultati di quell’attività.
Ricerca e sviluppo sono infatti una coppia di fatto. Senza l’una, non esiste l’altro. Per PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S, ne abbiamo parlato con Corrado Ariaudo, amministratore di Cuki Cofresco, la società che produce il Domopack e il Cuki che siamo abituati a vedere sugli scaffali del supermercato e nei cassetti delle nostre cucine.
“Ogni nuovo prodotto e le relative tecnologie adottate devono essere coerenti con un futuro più sostenibile. Sul fronte prodotti, offrendo al mercato contenitori in alluminio con materiale riciclato, pellicole e sacchetti gelo in bioplastica compostabile, carta forno biodegradabile e certificata compostabile e, per il settore gastronomia e ristorazione, una gamma in cartoncino certificato FSC per il take-away, utilizzabile in freezer, forno e microonde. Cuki, infatti, lavora e investe continuativamente su progetti di ecodesign per ottimizzare le risorse, riducendo spessori e alleggerendo gli imballaggi e comunque migliorando la resistenza meccanica” osserva Ariaudo.
Ma qual è la situazione italiana in materia di ricerca e sviluppo? I dati Istat ci dicono che nel 2023 sono stati spesi 29,4 miliardi di euro. Nel 2024 invece si è registrato un non esaltante aumento dell’1,2%; mentre, per il 2025, le cose sembrano andare meglio, con una crescita programmata del 4% rispetto all’anno precedente (Istat, La ricerca e sviluppo in Italia – Anni 2023-2025, 25 settembre 2025).
Le imprese private fanno la parte del leone, con il 58,4% della spesa totale nel 2023. Seguono le università con il 25% e il settore pubblico con il 14,9%. Il problema italiano è che la piccola impresa investe sempre meno. Se poi prendiamo in considerazione il fenomeno del così detto “nanismo” imprenditoriale, la situazione diventa preoccupante. Infatti, nel nostro Paese, il 95% delle imprese ha meno di 10 addetti, e solo lo 0,4% supera i 250.
Il problema è che meno ricerca comporta meno innovazione, minore produttività e una ridotta apertura ai nuovi mercati.
Ma torniamo al frigo. La prossima volta che avvolgiamo la metà di un limone in una pellicola o surgeliamo una fetta di pane in un sacchetto soffermiamoci a pensare che, dietro quel semplice gesto, c’è un investimento che rende più forte il nostro Paese.
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