Perché un carro adibito al trasporto di merci deve essere bello, anzi bellissimo, oltre che funzionale? Non basta che serva al suo scopo?
Sono nata a Messina e il carretto siciliano fa parte della mia cultura. Probabilmente è per questo che ho sempre dato per scontato che gli oggetti comuni dovessero essere belli, oltre che utili. Ma, se mi interrogo sul motivo, trovo difficile trovare una risposta. Fortunatamente mi viene in soccorso l’antropologia, la disciplina che studia l’essere umano come individuo, come membro di una società e come interprete di una cultura. Claude Lévi-Strauss, ad esempio, notava come l’uomo strutturi il mondo in forma simbolica, e l’estetica è uno di questi strumenti simbolici.
In altre parole, non rendiamo bello il carretto “nonostante” sia un oggetto funzionale, ma proprio perché lo è: ciò che entra nel nostro quotidiano va inserito in un sistema di senso, di identità, di appartenenza. Ma allora, se dietro a uno strumento di lavoro, c’è tanto sapere e saper fare, perché l’immagine dell’artigianato è stata talmente sminuita da causare una vera e propria crisi delle vocazioni? Per PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S ne abbiamo parlato con Marco Granelli, Presidente nazionale di Confartigianato “Oggi il lavoro c’è, mancano i lavoratori. Un paradosso, ma anche una vera emergenza per i nostri imprenditori e per il futuro del made in Italy. Nel 2024 le aziende italiane non sono riuscite a trovare il 47,8% della manodopera necessaria, con un aumento di 2,7 punti percentuali rispetto al 2023. Maggiori difficoltà di reperimento si riscontrano nelle micro e piccole imprese (MPI) che faticano ad assumere il 51,3% del personale (3,2 punti in più 2023). E per quanto riguarda l’artigianato la quota di lavoratori introvabili sale al 59,2%, con un aumento di 4 punti rispetto al 2023”.
Il motivo di questa emergenza va ricercato anche nelle convinzioni diffuse nella nostra società. È infatti opinione comune che la formazione al lavoro sia di serie B. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’istruzione, i licei continuano a essere preferiti dal 55,63% degli studenti, mentre gli istituti tecnici dal 31,66% e i professionali dal 12,72% dei nuovi iscritti all’anno scolastico 2024/2025. Tempo fa, in un convegno, mi sono trovata a tu per tu con un giornalista economico che, sul palco, aveva appena sostenuto con veemenza la necessità di spingere i ragazzi verso i tecnici e i professionali. Mi aveva detto di avere una figlia alle medie e gli ho chiesto se l’avrebbe incoraggiata ad iscriversi a un tecnico o a un professionale. La risposta è stata disarmante: “No, certo. Mia figlia no”.
Ecco la doppia morale che sta portando alla svalutazione del sapere tecnico e alla crescita di una società classista. Tutto questo a scapito del made in Italy.
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