L’ultimo delirio in ordine di tempo degli uomini contro le donne è la nuova legge approvata in Afghanistan che le proibisce di parlare a voce alta in pubblico. Ultima goffa, ridicola e grave disposizione maschile che dimostra quanto il corpo di una donna non sia ancora percepito con oggettività e rispetto. L’esplorazione dell’arte non mente sull’atavicità di questo problema: dalla Venere di Hohls Fels, statuina paleolitica riconducibile ancora all’Homo Sapiens che, da un pezzetto di zanna di avorio, ne ritrasse un corpo femminile con fianchi e seni esageratamente pronunciati alla Dea Artemide Farnese piena di seni.
Ma anche la Statuetta di Gaban con fianchi e vulve giganti se non addirittura vulve dentate, con lame affilate, spinate, narrate dalla letteratura, dal cinema, dalla televisione e dalla fumettistica (occidentale e orientale). Tra i classici, anche Omero si interesserò al corpo delle donne: le sue sirene rappresentavano la seduzione ingannevole, l’attrazione all’eros, la repulsione al pericolo. Un’enfatizzazione di un credo sia cristiano (la sirena è simbolo del peccato attraverso il quale i cristiani venivano ammoniti sul pericolo del piacere carnale) che pagano (simbolo di fertilità, Dea madre protettrice del creato). Due significati agli antipodi seppur coincidenti, esattamente come la natura della sirena che oscilla tra fascino (umano) e pericolo (di animale: pesce o, nelle prime raffigurazioni, uccello).
E’ noto che nell’Odissea Ulisse si fece legare all’albero della barca per non essere attratto dal loro canto mortale e così, per la prima volta, la narrativa introduceva un ulteriore elemento femminile pericoloso (la voce) rispetto a quello fisico: seni, fianchi, vulve. Non solo. La donna era ed è anche capelli: lunghi, morbidi e fluenti. San Paolo fu tra i primi Cristiani a ritenere i capelli femminili “irrispettosi” e dunque da nascondere. Si ritiene che il velo delle spose cristiane corrisponda al flammeum delle spose greche, etrusche e romane, segno di castità e pudore.
I capelli sciolti di donna, all’opposto dunque, sono vanità, vezzo, richiamo sessuale, oggetto redarguito anche nel Sacro testo del Corano che prescrive di vestirsi in modo decoroso nascondendo le parti “sacre”. Non sorprende che l’applicazione umana maschile sia partita dai capelli per proseguire al collo (nel Hijab), alle spalle (Khimar), all’intero corpo (Chador) financo gli occhi (Burqa). E’ palese che qui vi sia un problema enorme: il maschio, di ogni tempo e latitudine, non si è mai pacificato con il corpo delle donne.
Sempre in bilico tra attrazione e paura, eros e mistero, sesso e controllo. Una sorta di incapacità ad accogliere un corpo oggettivamente differente dal proprio: morbido, suadente e fertile e che per questa diversità vada ammonito, redarguito, ingigantito, nascosto, stretto fra regole. Una visione “uomo centrica” dove tutto ciò che è “altro” sia da governare e giudicare. “Se una donna non vuole mettersi il velo, si tagli i capelli! Ma se è vergogna per una donna radersi, allora si copra “ (Bibbia, lettera ai Corinzi).
© Riproduzione riservata
