Cacciare Autostrade è stupido, cercare mediazione evita penali e sprechi

Della questione relativa ai presunti mancanti investimenti di Autostrade se ne occupò anche il Tribunale di Roma nel 2006. Renato Castaldo, allora sindaco di Anas, stilò una relazione tecnico contabile nella quale sosteneva la tesi secondo la quale il denaro frutto dei pedaggi incassato dalla società Autostrade invece d’essere utilizzato per le manutenzioni veniva trasformato in dividendi. La causa legale da cinque miliardi di euro venne transata con la firma di una nuova convenzione dall’allora ministro competente Antonio Di Pietro, il famoso ex magistrato di Mani Pulite. Non vi sono sentenze che condannano o assolvono la società Autostrade per il crollo del Ponte Morandi, l’inchiesta è ancora in corso. Però c’è voglia di rivalsa e, per quanto riguarda il Movimento Cinque Stelle, il desiderio di revocare la concessione. L’inserimento all’interno del decreto cosiddetto Milleproroghe della possibilità da parte di Anas di farsi carico della gestione del patrimonio di Autostrade può fare presagire una decisione radicale del Governo. Due sembrano essere le strade percorribili: una definitiva: la revoca secca della concessione. Oppure, la seconda, più morbida, ridiscutere la concessione e negoziare con Atlantia quanti più benefici possibili può incassare lo Stato attraverso l’impegno del Governo. La prima strada, quella della revoca, potrebbe innescare una cascata di cause legali il cui esito è sempre incerto. La “discontinuità rispetto al passato”, e la “consapevolezza degli errori accaduti” potrebbero essere alcune delle leve utilizzabili per inquadrare tutto il sistema delle concessioni a vantaggio degli utenti e delle casse pubbliche. Lo storico pasticcio delle concessioni legate alla privatizzazione delle autostrade potrebbe trovare un punto d’equilibrio se, sia Atlantia che il Governo, si sforzassero ognuno svolgendo al meglio il proprio ruolo.