Candidati sindaco di Napoli, le pagelle della campagna elettorale più lunga di sempre

Fra le trasformazioni della democrazia che da tempo si osservano, è evidente la crisi del Parlamento, altra faccia della chiusura dei partiti alla società, per rinserrarsi – finita l’epoca della militanza – tra pochi dirigenti che decidono tutto dall’alto. Ora ci si sono messe pure la pandemia e la faccenda dei soldi dell’Europa: con Mario Draghi premier, Camere e partiti non toccano palla. La gente (che la voglia di essere coinvolta ce l’avrebbe) reagisce organizzandosi e così in Italia è ripartita una stagione di propositi referendari, alcuni già alla raccolta delle firme (facilitata dal fatto che adesso si possono raccogliere pure con un clic sul computer), altri minacciati o promessi da questo e da quello. Di questa fase “postdemocratica”, come la chiamano i sociologi politici – in cui restano cioè le forme della rappresentanza politica, ma la sostanza è bella che andata – Napoli è un esempio da manuale.
Prendiamo le liste dei candidati alle amministrative: mai così tanti, più di 10mila. La democrazia del condominio. Un’amica mi ha detto che nel suo palazzo di tre piani, con lei che abita in mezzo, la figlia della signora del piano di sopra si candida con Gaetano Manfredi e quella del primo con Catello Maresca. Entrambe le hanno messo i “santini” e altro materiale elettorale nella cassetta della posta. Che fare? Le ho beffardamente suggerito il gesto dadaista di scambiarli: alla candidata del centrodestra il materiale di quella  del centrosinistra e viceversa. Se, da un lato, la pletora degli aspiranti al seggio o al seggiolino – tra Consiglio comunale e quelli delle Municipalità – è ricca, dall’altro la capacità di visione si palesa come inversamente proporzionale alla prima. Coi candidati (lo attestano le fotografie su Facebook) impegnati a denunciare la presenza di buche da eliminare nelle strade dove abitano, le pessime condizioni dell’illuminazione pubblica con le lampadine fulminate e il degrado in cui è lasciato il campetto di calcio del quartiere, anche i candidati a sindaco devono adeguarsi. Altro che prospettive strategiche per i prossimi venti o trent’anni, qui bisogna anzitutto conquistare la normalità di riaprire una galleria impraticabile che taglia a mezzo la città e fa impazzire ancora di più un traffico già normalmente in condizioni da neuro e sostituire basoli dissestati.
La tentazione è allora quella di cercare il supertecnico con la bacchetta magica, in grado di risanare con un colpo di genio e di scienza le ferite. Peccato che i cervelloni abbiano un limite evidente: sono stati bravi nei rispettivi campi che, però, con l’amministrazione quotidiana di una città c’entrano poco o nulla. Fare i conti coi problemi dell’università, guardandoli dalle stanze di un rettorato o di un ministero, o con quelli procurati dalla macrodelinquenza organizzata, come dal piccolo scippatore ed estorsore, è molto diverso dall’avere a che fare con la riorganizzazione accettabile di un tessuto urbano in termini di tasse comunali da esigere stroncando le evasioni, di piano di mobilità sostenibile, di programmazione del commercio, del turismo, di vita del porto e di annose questioni, come la regolamentazione della “movida” o il risanare Bagnoli, per le quali l’esito positivo non è per nulla garantito. Di ogni campagna elettorale si dice, di solito, che è stata peggiore delle precedenti. Ecco, appunto: questa non ha fatto eccezione. Ed è alle performance offerte in questo periodo dagli aspiranti sindaci – dunque non ai loro programmi – che abbiamo messo i voti.
Antonio Bassolino – 6
Ha riportato la politica nelle strade: niente male per un arzillo 74enne
È il ripetente della classe. Successi e sconfitte gli si leggono in faccia come anche la voglia di non arrendersi. Un’araba fenice che ha vissuto morti e resurrezioni. Della città conosce tutte le pieghe e sa sollecitarne l’anima: anche stavolta ha girato passo dopo passo ogni quartiere, anche stavolta ha stretto mani, ha perfino resuscitato il comizio di piazza, roba per altri archeologica ma che scalda il cuore. Regione ed ex partito gli remano contro, ma lui oppone un aplomb istituzionale: bisogna fare squadra con chiunque, dimenticare gli sgarbi, parlare perfino con gli avversari, perché amministrare bene una città riguarda tutti. In tempi in cui molti dicono di schifare la politica, non se ne vergogna e sa che significa sintonizzarsi coi bisogni delle persone. Nel timore di commettere qualche passo falso, però, si è rivelato meno incisivo del dovuto. Come quando, interrogato dal Riformista sul garantismo, si è mostrato incerto. Il vecchio professore in passato l’ha criticato, ma ora non può negargli la sufficienza.
Alessandra Clemente – 4
Abbandonata dal suo mentore è l’erede di dieci anni di disastri
Bella e sorridente ex ragazza, oggi è una simpatica giovane donna. Ma non fateglielo notare o vi darà del sessista. Determinata, padrona dei dossier, dalla sua ha conservato la capacità di sognare degli esordi in cui il rinnovamento sembrava dipendere solo dalla volontà e di sapere trasmettere la sua passione civile. Partita dieci anni fa da inesperta, ha colmato molte lacune. Dov’è il problema? Nelle sue esternazioni ha ricordato troppo una stagione di velleitarismi arrevuotapopolo all’insegna del facite ammuina, nonché di disastri amministrativi che i più vogliono mettersi alle spalle. Sedotta e bidonata da un cavaliere errante che oggi cerca fortuna in Calabria, ha un futuro politico, ma dovrà imparare a guardarsi da mentori e “parenti serpenti”, come i suoi ex compagni di giunta candidatisi con Manfredi: prima ti portano su, poi ti mollano e “ruotoli” giù. P.s.: in passato è stata davvero mia brava allieva a Giurisprudenza, ma a livello politico è lontana dalla sufficienza.
Gaetano Manfredi – 5
Due nei: il patto con gli ex Dema e il no al confronto con gli avversari
Uno studente irritante, va detto. Viene da belle esperienze in cui è stato bravo, va bene, ma sta di fatto che nella nostra scuola ha evitato sistematicamente il confronto coi compagni e di farsi interrogare. Anzi ha detto che, se non gli davano il “premio di ingaggio”, manco ci veniva a iscriversi: bella tempra di calcolatore. Ha un’arietta aristocratica da primo della classe per definizione, cocco dei professori e che non passa i compiti. Lo sa e allora si è fatto fotografare senza occhiali e cravatta e perfino mentre addentava la “marenna di pane e puparuoli” degli operai. È evidente che conosce bene poteri che cooptano e coltelli che uccidono tra mille ipocrisie, ma sa meno del popolo vero e delle sue difficoltà. Magari alla fine lo promuoveranno, perché ha imbarcato tanti (vedi gli ex Dema) e ha sponsor potenti (vedi Vincenzo De Luca), ma resta un elegante raccomandato. In consiglio, intanto, lo porto col 5, poi vedranno i colleghi. Un suggerimento: tra le materie a scelta inserisca l’umiltà.
Catello Maresca – 3
Ambiguo nel rapporto con i partiti e circondato da troppi dilettanti
Questo studente – al professore dispiace, ma deve dirlo – ha sbagliato tutto. Prima ha traccheggiato, con la gente a chiedersi: «Si decide o non si decide?», col rischio delle belle ragazze molto corteggiate che se la vendono troppo cara e alla fine sfioriscono: non più vergini, ma senza antichi splendori. Poi la discesa in campo con toni da capitan Fracassa: «È arrivato lo sceriffo che metterà tutto a posto, ma non mettetemi le mani e i simboli addosso, faccio io, la gente vuole me e non voi». Ha però dovuto accorgersi che, se aveva la stella, gli mancava il cavallo: fuor di metafora, una squadra di aiutanti da comica finale che si sono sparati addosso l’un l’altro, bucando clamorosamente la corretta presentazione di liste di appoggio. Allora ha invocato l’aiuto dei partiti, salvo rifiutarlo di nuovo quando i leader nazionali non sono calati a Napoli per la chiusura della campagna elettorale. Eterna Sora Camilla, che tutti vogliono e nessuno la piglia, ora rischia di saltare il ballottaggio.