Carabinieri a Gaza: l’incontro segreto a Palazzo Chigi tra Blair e Meloni. L’Italia può fare da spalla per il piano di pace

Blair e Meloni si sono visti a Palazzo Chigi, ma non è dato sapere cosa si siano detti. Bocche cucite alla Presidenza del Consiglio, come anche a Fratelli d’Italia. D’altra parte, è facile intuirlo. Il piano di pace a Gaza, di cui si sta negoziando a Sharm el-Sheikh, ha la firma di Donald Trump e dovrà essere attuato dall’ex premier britannico, che però avrà bisogno di almeno un’altra voce europea per lavorare bene. Con la Francia fuori uso, è l’Italia che può fargli da spalla. I nostri buoni rapporti consolidati con le chiese in Terra santa, il mondo arabo – ma anche con l’Iran – e oggi con Trump e Netanyahu sono il cocktail perfetto affinché Roma abbia uno spazio importante nel futuro di Gaza pacificata. Inoltre c’è il Piano Mattei. Basta attraversare Suez per osservarne l’attuazione. Quindi non sarebbe neanche troppo illusorio pensare di includervi la Striscia. Come si fa tutto questo, però?

Questione sicurezza

La strada più corta passa dalla sicurezza. Una popolazione schiacciata dai vent’anni di totalitarismo terroristico di Hamas ha bisogno di trovarsi per le strade una forza militare che non venga vista come un esercito di occupazione. Nelle operazioni di pace, il modello italiano è ormai collaudato. Secondo l’ex direttore della Cia, David Petraeus, i Carabinieri sono i “Michael Jordan della polizia internazionale”. A suo tempo, l’ex generale Usa ha visto l’Arma in azione in Afghanistan e Iraq. Gaza presenta un contesto del tutto simile. Peraltro, i “nostri” ci sono già stati a Gerico e Rafah. Dietro l’angolo, in pratica.

Il Consiglio e i partecipanti

Stiamo correndo? C’è chi potrebbe pensarlo. D’altra parte, non si va a fare la pace senza un piano dettagliato per la sua messa a terra. Oltre ai 20 punti di Trump, ha iniziato a circolare in Italia anche una bozza di progetto elaborato dal Tony Blair Institute for Global Change per la creazione di una Gaza International Transitional Authority (Gita). Il documento riservato è da qualche giorno nelle mani della stampa israeliana e anglosassone. In queste 21 pagine, si legge che Gita sarebbe guidata da un consiglio internazionale e da un presidente che eserciterebbero “la massima autorità politica esecutiva”. L’organismo sarebbe composto da 7-10 membri, inclusi “importanti personaggi internazionali con esperienza esecutiva e finanziaria”. Tra i potenziali membri, ci sono il miliardario egiziano Naguib Sawiris e il miliardario americano di private equity Marc Rowan e potrebbe farvi parte anche il rabbino Aryeh Lightstone, Ceo dell’Abraham Accord Peace Institute. Sarebbe da considerare almeno un rappresentante palestinese, meglio se proveniente dal settore commerciale o della sicurezza. Al consiglio farebbero capo cinque commissari-supervisor delle aree umanitaria, ricostruzione, legislativa/legale, della sicurezza, e per il coordinamento con l’Autorità palestinese.

La Forza internazionale di stabilizzazione per i confini di Gaza

Prevista poi una “Forza internazionale di stabilizzazione” (Isf) che, in coordinamento con i servizi di sicurezza egiziani e israeliani, gestirebbe i confini di Gaza. L’Isf sarebbe incaricata anche del contrasto al terrorismo e alla rinascita di gruppi armati e della protezione delle operazioni umanitarie e di ricostruzione. A sua volta, l’“Autorità esecutiva palestinese” avrebbe il compito di “erogare servizi” e sarebbe guidata da un Ceo responsabile della ricostruzione del sistema sanitario, dell’istruzione, delle infrastrutture critiche e della gestione della giustizia e della polizia civile di Gaza. Il “Gaza Investment Promotion and Economic Development Authority” sarebbe incaricato di generare progetti investibili da capitali privati, con ritorni finanziari reali. La “Grants and Finance Accountability Facility” gestirebbe tutti i contributi su base di donazioni internazionali, garantendo trasparenza nei finanziamenti. Il budget stimato per il funzionamento di Gita nei primi tre anni è di circa 388 milioni di dollari. Il documento conclude che la governance potrebbe avvenire temporaneamente da hub remoti, in Egitto e Giordania.

Hamas non deve toccare palla

Può funzionare. A condizione che Hamas non tocchi palla. Il gruppo terroristico ha già avuto la sua occasione di buttare i Kalashnikov e riqualificarsi come soggetto politico. Non ha voluto. Non gli resta che dissolversi. Non sarà facile convincerlo, però. A Sharm i delegati di Hamas avrebbero accettato di consegnare le armi a un comitato egiziano-palestinese. Tuttavia, si sarebbero rifiutati di affidare la gestione della Striscia a un comitato di transizione internazionale. Specie se guidato da Blair. Sembra pure che Hamas abbia chiesto un cessate il fuoco per recuperare gli ostaggi israeliani, la cui liberazione avverrebbe entro una settimana. Siamo ancora lontani dal vedere la realizzazione di Gita.