Careca ricorda Maradona: “A Napoli era prigioniero, lo facevo uscire con barbe finte o nascosto nel bagagliaio”

Careca non è ancora riuscito ad andare a Buenos Aires dopo la morte di Diego Armando Maradona. L’ex attaccante, calciatore brasiliano, fenomeno campione d’Italia con il Napoli, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano argentino La Nacion. Tutto era cominciato ai Mondiali del 1986, quelli che El Pibe de Oro vinse, quasi da solo, con l’Albiceleste, mentre l’attaccante brasiliano venne premiato con la Scarpa d’Argento. “Mi chiese quasi sottovoce se mi sarebbe piaciuto giocare in Italia, nel Napoli … Io non sapevo nemmeno cosa dirgli …”.

Sono diventati una delle coppie, protagonisti del tridente Ma.Gi.Ca, d’attacco più forti di tutti i tempi della Serie A italiana. “Ho vissuto quattro anni con Diego, giocando e allenandomi al suo fianco, andando a casa sua, lui veniva a casa mia … Era spettacolare in campo e, inoltre, un leader molto rispettato da tutti. Messi è molto bravo, un grande attaccante, ha una qualità impressionante. Ma per me Diego è un gradino sopra di lui. E non solo perché, secondo me, era più figo di Messi, ma anche perché giocava con più anima, era più vivace, combatteva di più, non si arrendeva mai prima della fine della partita”.

Careca ha raccontato di aver rifiutato il Real Madrid per il Napoli e di aver accettato per Maradona. “Era un sogno”, ha detto. “Aveva un cuore enorme, era speciale. Con l’onestà e la trasparenza di amare gli altri. Era un leader molto preoccupato per gli altri, tutti gli altri. Ha combattuto per quello che non giocava, per quello che andava in banca, per l’uomo di scena e per il massaggiatore. Aspettando che tutti riscuotessero lo stipendio … era speciale. È stato un peccato il modo in cui abbiamo perso Diego”.

Oggi l’attaccante brasiliano vive a Campinas, a 90 chilometri da San Paolo, gestisce attività nel campo immobiliare e il complesso sportivo Careca Sports Center. Ha ricordato quegli anni a Napoli, irripetibili, con la conquista di due Scudetti, gli unici nella storia del club, e di una quotidianità straordinaria fino alle estreme conseguenze. “Cercare di uscire a fare una passeggiata era un’avventura. I tifosi facevano la guardia alla porta di casa di Diego, era come un prigioniero. Io lo facevo uscire travestito anche con barbe finte o nascosto nel bagagliaio dell’auto. Sì, saliva nella mia macchina, uscivamo, guidavamo per diversi isolati e poi scendeva e andava su un’altra macchina”.