Caro bollette e prezzo di borsa dell’energia elettrica: istruzioni per l’uso

All’assemblea pubblica dell’associazione confindustriale dei produttori di energia elettrica, la settimana scorsa, una breve presentazione ha passato alla numerosa platea una serie di messaggi sulla “materia prima”, ovvero il prezzo di borsa dell’energia elettrica:

a) in Italia vale meno della metà del prezzo in bolletta;

b) è più cara (nel 2024 il doppio che in Francia, il 70% in più della Spagna e il 30% in più della Germania) perchè “il prezzo di borsa è determinato dalla produzione a gas per oltre il 60% delle ore”, senza far cenno al fatto che nel 2024, anche nelle ore (il 13%) con prezzo determinato dagli impianti idroelettrici, tutti ammortizzati e perciò con costi di generazione 3-4 volte inferiori a quello delle centrali a gas, il prezzo di borsa è stato all’incirca pari a quello delle centrali a gas;

c) in Germania costa meno grazie alla “quota rilevante di rinnovabili (60%) e di carbone (20%)”, senza far cenno ai costi di sistema che ne derivano (quasi 600 miliardi di Euro solo per gli incentivi);

d) in Francia costa poco per la “forte predominanza del nucleare”, con il caveat “i cui costi di dismissione sono coperti dalla finanza pubblica” figlio di persistenti pregiudizi anti nucleari (infatti, il nucleare civile francese ha costi di dismissione e chiusura del ciclo del combustibile di 10 Euro/MWh, per la maggior parte già accantonati).

Infine, un grafico a torta stima una riduzione di 30 Euro MWh, se al 2030 il 65% dell’elettricità sarà -come i produttori auspicano- solare ed eolica (contro il 20% del 2024). Il punto qui non è se la stima sia corretta, quanto se non sia un messaggio fuorviante.

Proviamo a capirlo con un esempio: supponiamo di produrre 1 GW di potenza elettrica continua, h24, ogni giorno dell’anno, per alimentare distretti industriali, data center, ecc. in Lombardia, con fotovoltaico e batterie. Come noto, gli impianti fotovoltaici producono energia intermittente e variabile a seconda delle condizioni meteo e della stagione, come mostra il grafico. E sono “sincroni”, cioè producono tutti insieme. Se il sistema fosse dimensionato con riferimento ai 10 gg di giugno (come qualcuno furbescamente fa), non produrrebbe 1 GW tutto l’anno. Per questo si deve far riferimento all’autunno/inverno, quando numerose sono le sequenze di vari giorni con scarso irraggiamento. Così si trova che servirebbero un impianto fotovoltaico da 31 GWp e 70 GWh di batterie.

E quanto costerebbe in tal caso l’energia elettrica? Per rispondere, occorre considerare che un sistema siffatto è sì in grado di generare gli 8,7 TWh alla potenza costante di 1 GW, richiesti notte e giorno, ogni giorno dell’anno; ma produce anche 31 TWh in eccesso, che tuttavia vanno remunerati, altrimenti la domanda non sarebbe soddisfatta. Prendendo per buona l’asta Ferx (si stimano 70 Euro/MWh, per un impianto al Nord), e l’asta Macse (13 Euro/kWh anno, per le batterie), l’energia elettrica costerebbe complessivamente i 70 Euro/MWh dell’energia “utile”, più i 217 Euro/MWh dell’energia “tagliata”, più i 182 Euro/MWh delle batterie. In tutto 470 Euro/MWh (a titolo di esempio, il costosissimo reattore nucleare EPR in costruzione a Seizewell, UK, produrrà a meno di 120 Euro/MWh, senza costi aggiuntivi né per surplus di generazione né per batterie). E se ora concludessimo che con fotovoltaico e batterie riusciremmo a “mettere in borsa” 8,7 TWh di “materia prima” a 70 Euro/MWh, risparmiando 45 Euro/MWh rispetto ai 115 del 2024, senza menzionare i 400 Euro/MWh che finirebbero in altre voci della bolletta, non vi sentireste forse presi un po’ in giro?

L’esempio, estremo in tutta evidenza, è tuttavia utile a comprendere l’impatto sui costi di sistema quando si installano quantità eccessive, lontane dall’ottimo, di impianti variabili, stagionali e sincroni. Per di più neutralizzando i segnali di mercato (prezzi di borsa nulli o negativi) con costosi interventi a carico della bolletta (remunerazione dell’elettricità in eccesso e batterie, oltre a reti di trasmissione e distribuzione). Lo sappiamo in tanti. Molti di più di quelli interessati e dotati del coraggio necessario a evitare la slavina. Né aiutano quelli che lo sanno meglio di tutti, i produttori, che anzi chiedono di accelerarla, attratti da investimenti sicuri, che l’architettura del sistema regolatorio garantisce, invece di favorire le scelte tecnologiche ottimali per il Paese… che anche per questo rischia seriamente di affondare, se non si interviene con urgenza per cambiar rotta.