
“E mi ricordo, sono arrivata a casa e il portone era… ci aveva un’anta chiusa e la portiera mi ha guardato – mi ha guardato. Io non… non ho pensato a niente, sono entrata a casa e mi hanno chiamato e hanno detto che le Brigate rosse gli avevano sparato. E che lui era al Policlinico, sarebbero venuti a prendermi. Allora, è venuta la segretaria, io sono salita in macchina, avevamo la scorta su un motorino – uno dei ragazzi che lavorava con Ezio, su un motorino – e salendo la strada, via delle Alpi, ho chiesto ‘Ma è morto?’ e mi hanno detto ‘Sì’. Era un giorno di sole, il 27 marzo. E il sole è diventato metallico, ha perso tutto… il suo calore.” (72-3)
È la cifra di una realtà dura, tragica, che descrive quei primissimi istanti in cui Carole viene a sapere dell’uccisione, della morte, della sua anima gemella, di suo marito Ezio Tarantelli, l’economista ucciso a Roma il 27 marzo 1985 da un commando delle Brigate Rosse. Eppure, insieme al sole ci sono ancora gli alberi. Ed è su quegli alberi che Carole si concentra, sul loro respirare, sul loro fare ombra, abbracciare. Sole, alberi, respiro che non spengono la volontà di raccontare e trasformare l’esperienza personale in memoria collettiva.
Ritratto intimista e profondo
Questo libro offre un ritratto davvero intimista e profondo di Carole Beebe Tarantelli, figura di grande rilievo per la storia politica e sociale italiana, soprattutto – ma non soltanto – per la sua esperienza come moglie dell’economista Ezio Tarantelli.
La scelta di Carole di radicare il volume in un’intervista franca e senza maschere con il collega e amico Alessandro Portelli, non è affatto casuale. L’autrice ha preferito non inoltrarsi per i mari dell’autobiografia, un genere sempre particolare e delicato da affrontare, dove è difficile trovare una propria giusta voce. Una voce che non sia troppo elogiativa, troppo autogiustificatoria, ma nemmeno risulti distaccata e artificiale.
La scelta della storia orale
Alessandro Portelli si distingue infatti nel panorama della storiografia contemporanea come uno dei principali fautori e teorici della storia orale, una metodologia che si differenzia radicalmente dalle autobiografie tradizionali. Mentre l’autobiografia è un racconto in prima persona con una struttura più lineare e un intento spesso individuale e memorialistico, la storia orale di Portelli si basa su una relazione dialogica tra lo storico e il narratore, dove la narrazione personale si intreccia con l’agenda della ricerca storica.
Nel metodo di Portelli, la fonte orale non è soltanto un documento da catalogare, ma un atto costruito in presenza dello storico, attraverso l’intervista che diventa uno scambio vivo, fatto di domande e risposte, sguardi, emozioni e scoperte reciproche. Questo processo apre a una pluralità di prospettive che spesso trasformano l’impostazione iniziale dello studio, ampliandone la portata e arricchendo la comprensione degli eventi con dimensioni umane, sociali e culturali altrimenti difficili da cogliere.
La peculiarità di questo approccio sta nel cogliere la “storicità dell’esperienza personale”, cioè come la grande Storia irrompa nella vita quotidiana e nella memoria individuale, che diventa così un ponte tra il vissuto e la narrazione collettiva. Portelli sottolinea anche la complessa relazione tra memoria pubblica e memoria privata, elemento che emerge in modo vivido nei suoi studi su eventi drammatici come le Fosse Ardeatine, e che anche in questo lavoro funziona come perno. Portelli arricchisce il racconto con domande puntuali, ascolto empatico e qualche nota a pie’ di pagina esplicativa di vari riferimenti culturali utili per chi voglia approfondire ora sull’Economia, ora sulla Letteratura anglo-americana, che lui ha insegnato per anni a Villa Mirafiori.
La vera voce di Carole
Attraverso questa narrazione viva e personale, Carole racconta la sua vita nel contesto di un’Italia in fermento politico, ma anche il dolore e la forza che l’hanno accompagnata dopo la tragedia del terrorismo. Interessante sotto il profilo linguistico la scelta di Portelli e della editor, Giulia Gatti, di esaltare la voce vera di Carole, con i suoi anglismi, i suoi piccoli errori di sintassi, i suoi calchi, la sua iperesplicitazione (l’eccesivo uso di pronomi personali, una caratteristica tipica dei madrelingua inglesi quando si esprimono in lingua italiana). Conosco l’autrice da anni e, leggendo queste pagine, m’è parso sentirla parlare, lì, davanti a me. Questo fatto mi ha reso il libro più vivo, più vicino. L’unica peculiarità che mi ha convinto meno è la presenza di alcune ripetizioni di concetti che, se nel dialogo orale sono naturali, sulla pagina scritta forse si sarebbero dovute editare.
Carole ha vissuto il trauma dell’omicidio del suo uomo, della violenza politica con uno sguardo lucido, senza cedere alla rassegnazione. La sua testimonianza si intreccia con riflessioni sulla psicoanalisi, la letteratura, la giustizia, la memoria, la comparazione fra gli Stati Uniti – sua prima patria – e Roma. Emerge da tutto ciò la cifra della responsabilità civica, offrendo un inno alla resilienza e alla speranza anche nei momenti più bui.
Una Carole a 360°
E in queste pagine c’è una Carole a 360°, prima, durante e dopo Ezio, con e senza Ezio. La Carole degli anni della gioventù e dello studio in America, i favolosi Sessanta a Brandeis University e nell’area degradata di Cambridge, Massachusetts, poi gli anni come insegnante alla Scuola internazionale Overseas di Roma. Quindi gli anni di insegnamento a Macerata, a Napoli, infine alla Sapienza di Roma. Infine c’è la Carole impegnata in attività sociali e femministe e politiche e parlamentari come indipendente di Sinistra nelle fila del PCI, dove arrivò seconda, come preferenze, dietro al segretario generale del partito, Natta.
Questo libro è una lettura preziosa per chiunque voglia comprendere la complessità del terrorismo in Italia dal punto di vista di chi rimane monco – vedovo, orfano, mutilato – ma soprattutto per chi desidera entrare nel cuore di una testimonianza forte sulla capacità umana di resistere e di mantenere viva la memoria. È allo stesso tempo un racconto personale e un documento storico, che emoziona e induce alla riflessione profonda.
L’impegno sulla Legge Gozzini
Mi è particolarmente piaciuto lo schiaffo etico e morale che si trova nelle pagine finali, là dove Carole illustra il percorso accidentato e difficoltoso della Legge Gozzini, da lei (e non solo da lei) fortemente voluto e approvato all’ultimo giorno utile:
Alla fine, della battaglia che abbiamo fatto per salvare la Gozzini ha beneficiato Barbara Balzerani – anche – che è uscita prima dal carcere. Io dvo dir che non mi pento di avere anch agevolato chi ha pianificato l’assassinio di Ezio. Non mi sono mai pentita. Perché era la cosa giusta da fare. (108)
La Legge Gozzini (legge 10 ottobre 1986, n. 663) ha riformato l’ordinamento penitenziario italiano, promuovendo il valore rieducativo della pena e introducendo misure alternative al carcere. La riforma, ancora oggi spesso al centro di polemiche, favorisce il reinserimento sociale del detenuto attraverso permessi premio, detenzione domiciliare, semilibertà e lavoro esterno, ponendo attenzione alla dignità e ai diritti umani anche durante la detenzione. L’infame mandante dell’omicidio di Ezio Tarantelli, appunto Barbara Balzerani, grazie a quella legge potè uscire prima di prigione e beneficiare di una serie di permessi, nel nome anche di una rivalutazione dei carcerati come “cittadini”.
