Donald Trump è un’”anatra zoppa” (“lame duck”)? Nel gergo politico americano quest’espressione viene usata quando almeno uno dei due rami del Congresso è controllato dal partito di opposizione. Uno scenario possibile dopo le elezioni di Midterm del 2026. Secondo molti osservatori, infatti, il potere del tycoon newyorkese comincia a mostrare vistosi segni di logoramento.
Le ragioni sono molteplici. Le tensioni interne al Partito repubblicano, anzitutto. Tensioni legate al diffuso malcontento per l’aumento dei prezzi, al disagio crescente per l’affaire “Epstein files”, all’insofferenza di una parte non irrilevante del movimento Maga per l’attivismo internazionale del presidente, giudicato contraddittorio con lo slogan “America First”. Tant’è che sabato scorso Trump ha firmato senza battere ciglio il “National Defense Authorization Act”, che autorizza il budget militare per l’anno prossimo. Questa legge, simbolo della tradizionale collaborazione bipartisan in materia di difesa, corregge significativamente il “National Security Strategy” della Casa Bianca. E cioè quel documento, summa della dottrina trumpiana della forza, che solo tre settimane aveva sancito la rottura delle relazioni transatlantiche. Una rottura ora ricomposta, sia pure parzialmente, grazie ai cospicui stanziamenti previsti per la sicurezza dell’Europa e dell’Ucraina.
Epstein, l’emblema di un sistema opaco
Non basta. Nel corso degli ultimi mesi, i democratici hanno vinto in numerose consultazioni locali (clamorosa la conquista di Miami). La Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, sembra orientata a bloccare o ridimensionare alcuni punti centrali dell’agenda presidenziale, mentre i tribunali federali hanno già sospeso o annullato ripetutamente ordini esecutivi presidenziali. La stessa vicenda degli “Epstein files” per molti elettori repubblicani è diventata l’emblema di un sistema di potere opaco, in cui élite politiche, finanziarie e mediatiche hanno goduto di protezioni e complicità. In questo contesto, l’idea che Trump possa aver ostacolato la piena trasparenza dell’inchiesta ha prodotto un vero e proprio cortocircuito narrativo: un presidente che ha costruito gran parte della propria legittimità sull’attacco al “deep state” è apparso improvvisamente associato a pratiche di insabbiamento, sufficienti a incrinare il rapporto fiduciario con una parte dei suoi seguaci.
Nel 2016, Trump il voto popolare lo ha perso, nel 2024 lo ha vinto con il margine minimo degli ultimi cinquant’anni. Tutti i presidenti sono entrati alla Casa Bianca con un Congresso controllato dal loro partito, ma per un pelo, per pochi seggi, e solo per il primo biennio del loro mandato. Dopo, a ogni elezione di Midterm, il partito di opposizione ha conquistato la maggioranza in almeno una delle Camere. Che ci sia in ballo un “regime change” in vista delle elezioni di Midterm dell’anno prossimo è un’ipotesi da non scartare. Manca solo il verdetto del popolo. Il 3 novembre 2026 potrebbe essere un giorno da non dimenticare.
