L'opinione
Charlie Kirk demonizzato dalla sinistra intollerante. Quando le offese prendono il posto delle argomentazioni
C’è un dibattito sempre aperto in Italia. Oggi più forte in occasione dell’assassinio di Charlie Kirk, l’americano convinto sostenitore di una cultura tradizionale e più moderata. Oltre che tra i giornalisti e i più noti influencer e maître à penser si è sviluppato, nelle ultime ore, un confronto aspro anche tra governo e opposizione. Kirk, nel promuovere pubblici dibattiti sui valori nei quali credeva, aveva il merito di chiedere ai suoi interlocutori dialogo e confronto. Per metodo invitava al contraddittorio, per ricevere confutazioni che dimostrassero la falsità delle tesi di chi non condividesse il suo pensiero.
Che dire? Se Karl Popper fosse stato presente, sicuramente per la regola adottata, avrebbe stretto la mano a Kirk. Non so se avesse studiato il filosofo del liberalismo, difensore della democrazia, assertore del principio scientifico e avversario di ogni forma di totalitarismo, ma il giovane americano certamente aveva impostato la sua narrazione in modo corretto, basato di fatto su congetture e confutazioni. Purtroppo le confutazioni gli sono arrivate svelte in faccia col piombo: pure firmate Bella ciao. Qui spunta subito il confronto con lo tsunami, violento e retorico, che ha investito il dibattito dal quale bisognerebbe prendere adeguate distanze: parole gridate, manifesti osceni, fantocci bruciati e indici aggressivi puntati contro l’avversario incolpato di avere idee diverse. Chi osa schierarsi a favore delle tesi del giovane americano, subisce anatemi, avvertimenti più o meno ostili, sempre comunque accompagnati da un orgoglioso senso di presunta superiorità, nella convinzione arrogante di essere sempre dalla parte giusta. Nel confronto, in assenza di argomenti seri, appare un nascosto quanto radicato tormento nel sedicente progressista, fiero e certo del suo coraggioso dire. Non un velo di dubbio, non un accenno di interrogativi ma solo cieche certezze vissute come assoluto atto di fede diventano lo scudo aggressivo del progressista di regime.
Al posto degli argomenti, le offese personali prendono il sopravvento sulle tesi usando un repertorio linguistico che rimanda agli universali del Male e del Bene, al nemico ideologico e alla salvifica missione che. per alcuni influencer, molto apprezzati dalla sinistra, potrebbe giustificare anche l’omicidio. Insomma il diavolo e l’acqua santa. È chiaro che l’avvitamento lessicale a nulla porta se non a consolidare odio e steccati. Certo non individua le cause che storicamente hanno creato un simile format di pensiero e meccanici riflessi condizionati che in automatico scattano (Paplov) in presenza di questioni riguardanti il confronto politico. Comportamenti che di fatto rimandano agli atti di fede, ai condizionamenti rituali che scattano come difesa di fronte a un ignoto non praticato, ma vissuto come nemico. Una sorta di religione, molto simile alla Controriforma e ai tribunali ecclesiastici del passato, basata sulla ridefinizione di certi comportamenti fu varata in URSS al tempo di Stalin da Andrej Aleksandrovič Ždanov. Ideatore della cosiddetta “dottrina Ždanov”, l’ideologo sovietico stabilì le linee guida di ogni espressione della vita culturale, artistica e intellettuale sovietica: dalla produzione letteraria, teatrale, e cinematografica fino a quella musicale, mantenendo ferma una politica di assoluta intransigenza nei confronti del male assoluto, gli Stati Uniti.
La dottrina del realismo socialista si trasformò in un incubo censorio di ogni libertà borghese o, peggio, individualista, arrivando ad uniformare scientificamente addirittura l’espressione lessicale. Dividendo il mondo fra imperialisti rappresentati dagli USA e democratici guidati dall’URSS, la dottrina impose un approccio ideologizzato principalmente alla scienza del linguaggio, alle parole, allo stile, persino alle metafore letterarie che dovevano riflettere il lessico ufficiale del partito, imponendo così un vocabolario politico standardizzato, limitando la libertà espressiva per favorire la comunicazione rigida e propagandistica. Oggi si vedono ancora gli effetti di quella scuola, penetrati purtroppo anche nel mondo occidentale. Il politicamente corretto, le revisioni e le affermazioni di principio cieche di fronte alla dialettica e al confronto delle idee è, di fatto, il male contemporaneo che censura e occlude ogni ipotesi critica necessaria alla comprensione della realtà, lasciando pericolosamente possibile anche l’atto violento.
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