Essere figli di un padre intelligente ha i suoi difetti ma anche i suoi pregi. A me, ad esempio, mio padre ha trasmesso la capacità di analisi che lui aveva costruito con tanti anni di fatica e letture. Lui ci ha messo decenni per metterla su, e il suo lavoro ha fatto in modo che io me la trovassi lì, già pronta, scritta nei miei geni. Non è colpa mia, è la natura. Che volete da me? Non accusatemi di pigrizia, perché dovrei studiare? Io non ne ho bisogno, le mie sensazioni sono le mie nozioni. In poche righe, ho già dimostrato a me stesso e a chiunque legge di aver superato mio padre, a soli 30 anni, in una dote che lui, potete credermi, non ha davvero mai avuto e che forse mi invidierebbe. L’arte del paraculismo. Sì, perché ciò che ho scritto qui è paraculismo allo stato puro, una giustifica puerile per non aprire un libro e non faticare, per rifiutare le responsabilità e allo stesso tempo apparire intelligente, millantando la classica presunzione di chi sa di sapere. Però questa idea che non se ne va dalla mia testa, questa convinzione che le sensazioni siano paragonabili alle nozioni, credo che sia un po’ il mantra della mia generazione.
Lo sviluppo
Ci si guardi bene dal demolire le sensazioni di quelli della mia generazione tramite le nozioni. Non vi crederanno, preferiranno sostenere che siete collusi, che qualcuno vi paga: in breve, troveranno ogni modo per minare la vostra credibilità. Se non sostenete l’idea in linea con le sensazioni, non siete una fonte attendibile. È paradossale, ma proprio oggi che abbiamo accesso a ogni fonte di informazione, miriamo a minarne la credibilità, se questa non è in linea con le nostre sensazioni. Immaginate l’uomo primitivo, se invece di rischiare la propria vita per procacciare il cibo se lo trovasse pronto sulla tavola tutti i giorni, come se Dio in persona lo cucinasse e lo preparasse per lui: apprezzerebbe ciò che ha davanti o lo criticherebbe per la scarsa sapidità del piatto? Ecco, l’uomo moderno, dopo aver vantato una capacità culinaria sviluppata dopo anni di MasterChef in tv, sosterrebbe che Dio ha le papille gustative colluse con le grandi catene di produzione alimentare. Un po’ come durante il Covid, quando ci convincevamo che i vaccini erano un modo per le grandi aziende farmaceutiche per controllarci.
Le fonti attendibili
A parte gli scherzi, proprio oggi che ogni informazione è accessibile, lo è anche ogni opinione. È così che accade che una fake news, se ripetuta all’ossessione, se in linea con la sensazione generale, facilmente può diventare realtà. È il caso di Anas al-Sharif, giornalista e videomaker palestinese (queste le info che trovate in cima se ne cercate il nome su Internet), morto il 10 agosto 2025 in un attacco mirato a Gaza da parte dell’Idf. Era un giornalista di Al Jazeera. Chi è Al Jazeera? Al Jazeera Media Network è un conglomerato mediatico con sede a Doha ed è finanziato e sostenuto in buona parte dal governo del Qatar, frase copi-incollata integralmente da Wikipedia. È importante dire che l’abbia presa da Wikipedia per due motivi: è considerata dalla mia generazione una fonte più attendibile di qualsiasi opinionista al mondo; scrive nero su bianco che Al Jazeera è finanziata dal Qatar. “Carlo, perché è così importante che sia finanziata dal Qatar? Al Jazeera fornisce un servizio di informazioni, dovremmo ringraziare che esiste!”. Il Qatar ha un ruolo importante in tutta questa storia. Si presenta infatti come importantissimo mediatore tra Hamas e gli Stati Uniti. “Come?”, mi chiederete. Ospitando i leader di Hamas nelle proprie strutture, alberghi a 7 stelle plus dotati di piscine, spa e servizi di ogni tipo (informazione più che verificabile). Con questo non voglio dire che non sia un mediatore super partes. Anzi, non dico proprio niente.
Il pericolo di Anas al-Sharif
Come dicevamo, Anas al-Sharif era un giornalista di Al Jazeera, finanziato dal Qatar. Su Internet, appena cercate il suo nome, troverete post di ammirazione, descrizioni eroiche di questo personaggio, presentato come un paladino della verità, tra i pochi a riferire dei soprusi di Israele nelle terre di Gaza. Caspita, è perfetto. Tutto è clinicamente allineato con le sensazioni. Tutto porta alla direzione a cui noi tutti abbiamo bisogno di credere: Israele è un Paese che persegue il genocidio e uccide i giornalisti, così che il mondo non sappia niente. Il nostro spirito da 007 è colmato, il nostro orgasmo complottistico contro il sistema è finalmente realizzato. Abbiamo, ancora una volta, dimostrato che non siamo solo dei viziati occidentalizzati che nella vita hanno avuto tutto, ma siamo anche attenti ai diritti umani delle persone meno fortunate di noi. Quasi come a dire: “Ehi Anas al-Sharif, so che tu rischi la pelle ogni giorno per raccontarmi come stanno davvero le cose, mentre io me ne resto comodamente seduto sul divano. So che l’Occidente, che provvede alla mia istruzione, alla mia salute e al mio futuro, che mi permette di essere chi voglio, di decidere se credere o no in un Dio, di eleggere chi mi governerà, sta cercando di ucciderti. Ma io non sono come loro, io ho un cuore! Sono con te Anas, ti appoggio da lontano scrivendo un post su Threads che elogia la tua fantastica vita!”. E per 5 minuti il nostro complesso di inferiorità verso i più poveri è colmato. La nostra islamofobia è stata negata, possiamo tornare a spendere i soldi di papi.
L’approfondimento su Anas al-Sharif
Essere figli di un padre intelligente ha i suoi pregi, ma anche i suoi difetti. A me, ad esempio, mio padre ha trasmesso la capacità di analisi che lui ha faticato tanti anni per costruire. E perciò, quando ho cercato Anas al-Sharif su Internet, ho commesso l’errore che la mia generazione non perdona: ho approfondito. Se infatti cercate Anas al-Sharif su Google e non vi fermate a pagina 1, troverete delle foto, dei link a un canale Telegram, degli screen a delle chat. A un certo punto leggerete che Anas al-Sharif, giornalista di Al Jazeera, finanziato dal Qatar, che ospita i leader di Hamas in alberghi 7 stelle plus con piscina, spa e servizi di ogni tipo, ha scritto dei post dove celebrava gli attentati del 7 ottobre ai danni di Israele; troverete delle foto di lui sorridente sotto braccio a Yahya Sinwar, il capo di Hamas. In aggiunta a tutto questo, troverete persino le dichiarazioni di Israele, che spiega di aver raccolto elementi sufficienti per considerare Anas al-Sharif non un giornalista, ma un terrorista.
Ed ecco qui che la mia generazione entra in crisi. La narrazione è crollata, ci scopriamo nudi di fronte a una cruda realtà: siamo dei fessi, dei creduloni, incapaci di mettere in fila le nozioni per giungere a una conclusione che, forse, era già ovvia. Ma soprattutto ci ritroviamo a dover fare i conti con i valori con i quali siamo cresciuti, a dover ammettere di essere dei poveri occidentali, pieni di tutto e incapaci di lasciare qualcosa. E allora via con lo shitstorming, via con le difese più strenue e assurde: “È Israele che diffonde queste fake news, le foto sono false”, “I post sono ritoccati!”, “Che abbia una foto mentre sorride col capo di Hamas non significa che fosse di Hamas!”, “Ma Hamas è un partito politico, non un’organizzazione terroristica!”. E lì realizzo una cosa importante: essere figli di un padre intelligente ha i suoi pregi e i suoi difetti. A me, ad esempio, mio padre ha trasmesso ciò che ha contraddistinto la sua vita: l’abitudine al sentirsi soli nel difendere l’ovvio.
