I nemici di Mubarak tentarono di colpire il suo governo colpendo i turisti in crociera sul Nilo ed era l’unica arma che potessero usare, ma la polizia segreta del rais era informata, spietata e segretamente connessa con il Mossad israeliano. Il Cairo di oggi è una metropoli in cui il regime ha deciso di prendere possesso della vita personale dei sudditi per inquisirla, esaminarla, reprimerla. In un certo senso, l’Egitto del dopo Mubarak somiglia un po’ al Cile di Pinochet durante la guerra fredda. Il Paese che aveva guidato l’uomo che ieri si è spento in ospedale dopo quasi dieci anni dalla sua caduta, era invece molto più simile all’Egitto degli inglesi e del re Faruk, un gaudente opportunista cacciato con un colpo di stato militare. Hosni amava le parate, ma senza eccessi. Aveva un suo senso dell’umorismo, non sempre innocente. Non conosceva altro diritto se non quello della forza e del realismo, e questa era la sua virtù in un’area geografica che non ha mai conosciuto altre forme di governo che quelle delle maniere forti, delle repressioni nel sangue e delle aperture improvvise. Oggi gli analisti che Al-Jazeera intervistava per raccontare la sua epoca, concordavano: Mubarak fu un tiranno quasi buono, un uomo di Stato, una persona tanto crudele quanto affidabile, moderatamente corrotto, circondato da stuoli di nipoti e più ancora di nipotine appassionate per la danza dei sette veli.
Chi era Mubarak, nipotino di Nasser e zio di Ruby
