Chi era Sibilla Aleramo, la scrittrice che anticipò i temi del femminismo

«Come era così passato dalla sua cupa negazione umana a tanta ferma fede? Non per la bellezza dell’anima mia, ch’egli non la sentiva, come sentiva invece ogni sera ed ogni mattina il mio corpo, ché gli era, questo sì davvero, simile al pezzo di terra che ci sostenta». «Sensazione costante della donna moderna della propria sopravvivenza: esteriore aggraziato che implica debolezza e schiavitù, impulsi intimi di dedizione, compiacenza nel donarsi e nel far felice l’essere amato anche senza gioia propria». A un certo punto, tuttavia, i due percorsi finiscono per convergere. È nei Diari che, abbandonata l’autobiografia come costruzione di una immagine ideale di sé, il “narrarsi” diventa una sorta di autoanalisi, uno svelamento continuo: «Veli tutti da sollevare». La ricerca di autonomia dell’essere femminile urta, nella lucida intuizione di Sibilla, contro una «rappresentazione del mondo aprioristicamente ammessa e poi compresa per virtù di analisi». L’attenzione ai modelli imposti dalla cultura maschile e incorporati dalle donne stesse, sarà al centro delle teorie e delle pratiche del femminismo degli anni Settanta, ma mentre i gruppi di autocoscienza si occuperanno della sessualità, Sibilla si sofferma quasi esclusivamente sul sogno d’amore. Portata alla luce - attraverso la “ridda” dei suoi amori - l’illusione amorosa si lascia guardare, analizzare, e quello che si può vedere è che l’idea di felicità agisce su piani diversi. Non impronta solo la relazione d’amore, ma anche l’idea di interezza del proprio essere - sensi e ragione -, e la rappresentazione del fare creativo. Appare chiaro, soprattutto, che il sogno d’amore, se poggia per un verso sull’esperienza dell’infanzia, è comunque dalla storia dell’uomo che prende forma, come ricomposizione sul polo maschile dei dualismi che essa stessa ha prodotto. Ciò spiega perché Sibilla arrivi a dire di sé di essere come Adamo che aspetta «che gli sorga a fianco Eva», perché il suo «incessante sforzo auto creativo» diventi ogni volta travaso di energie per far crescere l’individualità dell’altro. Un’affermazione sorprendente, a cui farà seguito una verità che ancora oggi le donne stentano a riconoscere: «Era necessario ch’io mi foggiassi illudendomi di foggiare altrui, ch’io mi accanissi a costruire su sabbia mobili: cercavo unicamente me stessa… Il mio potere era questo: far trovare buona la vita… La mia forza era di conservare tal potere, anche se dal mio canto perdessi ogni miraggio. Amore senza perché. Senza soggetto quasi». Lo “svelamento” avviene nella vita, nella coscienza di sé, ma è la scrittura che lo prepara nell’andirivieni incessante tra “estasi” e “gelo”, rapimento e lucidità di analisi, smarrimento nell’altro e «fastidioso obbligo di vivere per sé». Mentre sta scrivendo i Diari, Sibilla si rende conto che sta perdendo la sua ispirazione poetica e che c’è in lei una «sotterranea seconda vita, corrente tacita di pensieri e sentimenti», che non può tradurre in poesia «se non violentandomi, disumanandomi, forse uccidendomi». Occorreva, per questo, un’altra scrittura, quella stessa che già stava facendo con le sue annotazioni quotidiane, e che le veniva rimproverata come «chiacchiere sulla carta». Anticipatrice, rispetto alle intuizioni radicali e agli sviluppi del movimento delle donne degli anni Settanta, Sibilla lo è stata anche nel giudizio che dà delle battaglie di emancipazione di inizio Novecento. Il femminismo, osserva Sibilla, nasce dalla coscienza di un «malessere diffuso e oscuro», ma subito per fretta e per paura sceglie altre strade.