Che fine ha fatto von der Leyen: esclusa dal tavolo dei “volenterosi”, ignorata dagli Usa e rinnegata nel “Green Deal” da Merz e Macron

La solitudine dei numeri primi. Che non lo sono più. È questa la condizione che vive oggi Ursula Von der Leyen. La presidente della Commissione ricorda la famosa battuta del film di Nanni Moretti dove il protagonista si chiede “mi si nota di più se non vengo o se vengo e sto in disparte?”. Fatto sta che la ex donna di ferro appare sempre più come l’imbucato alla festa di quelli che contano: esclusa dal tavolo dei “volenterosi” per l’Ucraina. Trattata con sufficienza dall’Amministrazione americana.

Il suo nome non compare tra i segnaposto sui tavoli che vorrebbero fare la storia. Ursula è la cartina di tornasole di un’Europa che fatica a dimostrare compattezza e credibilità, tutta “chiacchiere e distintivo”: quando in questi giorni ad Aquisgrana ha ricevuto il premio Carlo Magno dal suo concittadino Friedrich Merz, Von der Leyen si è lanciata in quello che è forse il suo intervento più ambizioso e visionario mai pronunciato, ma altrettanto velleitario, sulla necessità di un’Europa indipendente. Quattro i punti della sua agenda: costruire una Pax europea per il ventunesimo secolo, mettere innovazione e competitività al cuore del rinnovamento del continente, lavorare alla prossima riunificazione dell’Unione e rafforzare la democrazia. Bene, anzi benissimo.

C’è però da chiedersi come, e soprattutto con chi attuare questo piano. Il primo ostacolo alla sua realizzazione arriva dall’incoerenza stessa della presidente che in questo secondo mandato, messa alle strette dai dietrofront e dai distinguo dei membri dell’Unione, sta rinnegando, punto per punto il programma della sua rielezione. Ed è proprio questa incoerenza a confermare una debolezza diventata strutturale, che rende la sua ambizione di ricostruzione di un rinnovato spirito europeo più che altro una boutade. Non è neppure un segreto che dietro al palazzo di vetro di Bruxelles si intraveda sempre di più l’ombra proprio del nuovo cancelliere tedesco pronto a tirare i fili, quando si parla degli interessi della Germania, o a dissociarsi quando le scelte della Commissione non lo soddisfano. Anche i punti del famoso rapporto Draghi che la presidente ha elogiato più degli altri, guarda caso sono quelli più coerenti con gli indirizzi del governo di Berlino.

Lo schiaffo più sonoro sferrato dalle cancellerie tedesca e francese, a svuotare di credibilità, autonomia e forza l’azione di Von del Leyen, ha colpito la misura più ideologica delle politiche comunitarie: quel Green Deal che nei sogni di Bruxelles doveva rappresentare l’ambizioso piano di rinnovamento energetico del continente, derubricato oggi da Merz e Macron come un errore strategico, una legge addirittura da cancellare. E via discorrendo su altri dossier come le politiche sull’immigrazione dove ormai ciascuno va per conto proprio e il modello Italia ispira anche le scelte di governi di segno opposto come la laburista Inghilterra.

Che dalle parti di Palazzo Barlaymont soffino venti di crisi lo si è capito anche dalla missiva spedita dalla Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, che ha messo nero su bianco il proprio disappunto per il mancato coinvolgimento dell’Assemblea su tempi e modi del fantomatico riarmo europeo. Metsola rivendica, giustamente, il primato della politica e lo ha ribadito anche con la partecipazione alla recente assemblea di Confindustria a Bologna, dove non ha risparmiato parole di elogio all’operato di Meloni. Atto non dovuto ma simbolico. Messaggio chiaro recapitato al mittente. E intanto Von der Leyen assomiglia sempre più a quel Napoleone che si aggirava malinconico sul lungomare di Sant’Elena.