Chi ha ucciso la politica? Quando e perché abbiamo iniziato a odiare la democrazia? Esce oggi il libro di Emanuele Cristelli, consulente per le pubbliche relazioni e la comunicazione strategica, nonché collaboratore del Riformista. Un volume che indaga sulle cause che hanno ridotto la politica italiana ad aver un ruolo sempre più marginale sia in ambito internazionale che, soprattutto, all’interno dei nostri confini. “Hanno ucciso la politica l’opportunismo, il tatticismo e la mancanza di coraggio, caratteristiche tipiche di chi non fa che guardare alle prossime elezioni” osserva Cristelli, 30 anni, con un passato di militanza nel partito di Matteo Renzi (Italia Viva) prima di essere tra i fondatori di “Orizzonti Liberali”, contribuendo poi a far nascere il Partito Liberaldemocratico (marzo 2025) guidato da Luigi Marattin, che cura la prefazione del libro acquistabile su Amazon.
Come nasce “Chi ha ucciso la politica”?
Nasce da una constatazione: la politica, così come l’abbiamo conosciuta, non esiste più. Ho sentito l’urgenza di raccontare come, negli ultimi anni, il dibattito pubblico sia stato svuotato di contenuti e trasformato in una lotta tra tifoserie. Il libro nasce dal mio vissuto di militante e dirigente politico, ma anche dall’osservazione critica di una società che sembra aver smarrito fiducia nella rappresentanza e nella forza della mediazione. È un atto di denuncia, ma anche un invito a ricostruire.
Dal populismo (e giustizialismo) di 5 Stelle e Lega alle troppe ambiguità interne al Pd, passando per la classe dirigente che penalizza il partito di Giorgia Meloni e per un’area di Centro divisiva, chi ha davvero ucciso la politica?
La politica non l’ha uccisa un singolo partito, ma un insieme di fattori. I populismi hanno sfruttato la rabbia e la sfiducia per crescere, riducendo la complessità a slogan. Il Pd ha pagato la sua incapacità di definire una linea chiara, oscillando tra identità diverse. La destra, pur avendo consenso, soffre di una classe dirigente spesso inadeguata. E il Centro ha preferito dividersi piuttosto che costruire un polo credibile. In sintesi: hanno ucciso la politica l’opportunismo, il tatticismo e la mancanza di coraggio, caratteristiche tipiche di chi non fa che guardare alle prossime elezioni.
Nei tuoi quasi 15 anni di politica militante, dal PD a Italia Viva, arrivando al Partito Liberaldemocratico, che bilancio hai raccolto?
Un bilancio fatto di esperienze preziose, ma anche di disillusioni. Ho conosciuto la parte migliore della politica: persone impegnate, competenti, capaci di sacrificio. Ma ho visto anche l’altra faccia: il conformismo, le correnti che contano più delle idee, la difficoltà di innovare, i situazionisti e tanti, tanti alla mera ricerca di un posto al sole. È un percorso che mi ha arricchito, ma che conferma quanto sia urgente un ricambio vero, che metta al centro idee nuove e una selezione della classe dirigente meritocratica.
Partendo dai sette grandi equivoci che hanno portato – a tuo avviso – all’omicidio perfetto della politica, da dove bisogna ripartire per riportare i cittadini, e soprattutto i giovani, alle urne?
Dalla verità. Basta con le illusioni e le promesse irrealizzabili. I cittadini, e in particolare i giovani, chiedono onestà intellettuale, competenza e visione. Bisogna ripartire dall’educazione civica, dal recupero del senso delle istituzioni, e dal coraggio di fare scelte che guardino oltre la prossima elezione. Solo così si può ricostruire un rapporto di fiducia tra politica e società. Inoltre i giovani non cercano un impegno generalista, ma battaglie specifiche e luoghi dove poterle portare avanti: ambiente, diritti, tecnologia. La politica attuale è respingente verso questo modello. Occorre costruire strumenti che rendano compatibile l’attivismo verticale con la visione orizzontale della democrazia
Come si riconquista il primato della politica in un’epoca cruciale come quella che stiamo vivendo tra guerre, avvento dell’intelligenza artificiale e crisi dei salari?
Il primato si riconquista con la capacità di governare la complessità, non di subirla. La politica deve tornare a essere regia, visione, capacità di indirizzo e previsione degli scenari futuri. Oggi servono leader capaci di mettere insieme pragmatismo e idealità: gestire l’innovazione tecnologica senza lasciare indietro nessuno, affrontare le sfide globali senza dimenticare la quotidianità delle famiglie e dei lavoratori. Se la politica torna a decidere, a guidare, allora riconquista il suo ruolo. Per arrivare ad avere leader capaci, gioca un ruolo fondamentale la formazione politica, sia per dare gli strumenti per ben governare, sia per dare un incentivo alle migliori individualità per mettersi in gioco. Solo così è possibile restituire anche la credibilità persa alla politica.
Nel tuo libro c’è un capitolo dedicato anche alle lobby che ancora oggi vengono percepite negativamente, come te lo spieghi?
Perché in Italia la parola “lobby” è stata associata a opacità e corruzione. In realtà, in tutte le democrazie avanzate, le lobby sono strumenti di partecipazione e di incremento delle competenze a disposizione. Il problema non è l’esistenza delle lobby, ma la mancanza di regole chiare e trasparenti. Se le regole sono chiare, una lobby diventa un canale attraverso cui categorie, professioni e territori portano la loro voce nelle istituzioni. È l’assenza di trasparenza ad aver alimentato la percezione negativa.
