Sono diverse le “patate bollenti” sul tavolo del Governo, che dettano l’agenda delle urgenze da affrontare nel più breve tempo possibile. È questo il caso dell’art. 36 della Nostra Costituzione che sancisce il principio della giusta retribuzione, giacché il lavoratore subordinato rappresenta proprio la parte debole del rapporto contrattuale.
Quando si parla di “esistenza libera e dignitosa” chi può stabilirla? Ciò che oggi è considerato necessario per vivere una vita libera e dignitosa, non lo era una generazione fa e non lo sarà per la prossima generazione. Nulla viene detto in concreto circa la retribuzione spettante al prestatore. In effetti la Costituzione, detta solo i criteri della proporzionalità e della sufficienza, sulla base dei quali emanare la normativa in materia.
In ogni nazione esiste una retribuzione media oraria il ché significa che partendo dalla somma delle retribuzioni minime percepita da tutti coloro che lavorano con contratti regolari, dividendo per il numero degli occupati, otterremo la retribuzione media. Ma è come la famosa ‘media del pollo’ di Trilussa. Da un lato ci sono retribuzione medie alte e dall’altro retribuzioni medie basse, ma la media rimane la stessa, pertanto il discorso sul salario minimo non garantisce di percepire una retribuzione che doni un’esistenza “libera e dignitosa”.
Chi propone la linea di confine del salario minimo a 9 euro lordi, non ha forse bene chiaro a quanto ammonterà la retribuzione minima netta e a quante piccole imprese potrebbero sostenerla nel corso dei mesi.
Inoltre saranno previsti sgravi fiscali per le imprese o altri aiuti statali? Tutto questo corrisponderà ad un aumento del fatturato? E le famiglie composte da un nucleo di quattro o cinque persone, con un solo genitore lavoratore, oppure le famiglie con anziani e/o disabili bisognosi di cure, chi sarà in grado di stabilire per queste il “salario giusto”? Non sarebbe meglio prevedere la partecipazione agli utili dell’impresa?
