Chris Martin e lo scivolone pacifista durante il concerto dei Coldplay

Londra, Wembley Stadium, 30 agosto 2025. Durante una delle tappe del Music of the Spheres World Tour, Chris Martin invita sul palco due ragazze israeliane, Avia e Tal. La reazione del pubblico è immediata: una raffica di fischi. A quel punto il frontman dei Coldplay prende la parola: Sono molto grato che siate qui come esseri umani. Vi trattiamo come esseri umani uguali sulla Terra, indipendentemente da dove veniate. Grazie per essere qui, siamo grati. E grazie per essere affettuose e gentili”. Poi aggiunge: Anche se può essere controverso, voglio dare il benvenuto anche alle persone in platea dalla Palestina. Credo che siamo tutti ugualmente umani”.

Sembra un messaggio di pace, e probabilmente era nelle intenzioni di Martin. Ma il risultato è stato l’opposto: un momento grottesco, che ha scatenato polemiche e accuse in tutto il mondo. Perché, di fatto, Martin ha finito per dire che due ragazze israeliane meritavano di essere trattate da “esseri umani” e ringraziarle per essere “state gentili”. Come se il punto di partenza fosse un altro: che da israeliane ci si aspetterebbe ferocia, crudeltà, colpa.

I fischi

Ora, sia chiaro: questo non è un attacco a Chris Martin. Io stesso sono un fan dei Coldplay, e non credo affatto che Martin sia antisemita. È evidente invece che si sia trovato impreparato a gestire la situazione, forse disorientato dai fischi di una parte del pubblico, quelli sì, apertamente e vigliaccamente antisemiti, perché fischiare due ragazzine che salgono sul palco a un concerto mi sembra una cosa esecrabile. In quell’imbarazzo ha cercato di salvare la scena con un messaggio di inclusione, scivolando però su una china pericolosa: ribadire l’umanità delle ragazze israeliane come se fosse in discussione. Ecco il punto. L’antisemitismo che dilaga in Occidente dopo il 7 ottobre non si manifesta solo nei cortei dove si invoca la “Palestina libera dal fiume al mare”, o negli slogan che inneggiano alla cancellazione dello Stato ebraico. È un sentimento pervasivo, che penetra in tutti gli strati della società, fino a condizionare la spontaneità di un artista internazionale di successo, che sul palco – di fronte a decine di migliaia di persone – non trova di meglio che ringraziare due giovani israeliane per essersi comportate “da esseri umani”.

L’episodio di Wembley non ci racconta che Chris Martin sia un antisemita. Ci racconta qualcosa di più inquietante: che l’antisemitismo è diventato talmente diffuso e normalizzato da generare situazioni assurde, in cui l’eccezione da giustificare è l’essere israeliano. E questa è la vera gaffe che non riguarda Chris Martin, ma tutti noi.