Nell’appuntamento quotidiano con il nostro “Sì&No”, spazio al dibattito sulla reale utilità del Cnel: è un ente ancora utile? Lo abbiamo chiesto a Giuliano Cazzola, giornalista e politico, convinto che abbia ancora un’utilità, e alla parlamentare e coordinatrice nazionale Iv Raffaella Paita, al contrario convinta che sia da abolire.
Qui di seguito, l’opinione di Giuliano Cazzola.
Dai dati disponibili e dalla letteratura, anche internazionale in materia, emerge, che il lavoro povero non è in generale legato solo a bassi livelli di retribuzione oraria, ma è invece determinato anche e soprattutto: (1) dall’alta diffusione del lavoro irregolare che lascia i lavoratori privi di ogni tutela, compresa quella relativa ai salari minimi; (2) dalla discontinuità e frammentarietà dei rapporti di lavoro; (3) dalla ridotta intensità lavorativa, ossia da un basso numero di ore di lavoro; (4) da forme contrattuali non subordinate (lavoro occasionale) o forme di lavoro senza contratto (tirocini extracurriculari), che per definizione sono escluse dalla applicazione della contrattazione collettiva; (5) dalla mancata applicazione dei contratti e dal ritardo – anche di anni – del loro rinnovo.
È corretto, allora, che il governo abbia conferito al Cnel, (dove siedono le rappresentanze delle parti sociali, ignorate durante il dibattito estivo) l’incarico di formulare un ventaglio di proposte che affronti il tema nel suo insieme; e che potranno trovare – al di là delle possibili intese – spazio nella legge di bilancio. Per quanto riguarda il salario minimo è in atto una falsificazione dei dati. Infatti, secondo l’ultima rilevazione (report 17°) dell’Archivio dei contratti del Cnel, a luglio sono ben 1037 i contratti depositati, di cui 976 nei settori privati. Il fatto è che in questo caso la legge dei numeri non funziona se riferita ai contratti.
Infatti: dei 434 CCNL applicati a 12.914.115 lavoratori, (sono esclusi i contratti agricoli e dei lavoratori domestici) sono 162 (37,3%) quelli firmati dalle maggiori organizzazioni sindacali confederali o comunque rappresentate nel Cnel e ‘’coprono’’ 12.517.049 lavoratori (97%), mentre 272 contratti (62,7%) firmati da organizzazioni sindacali diverse da quelle confederali e non rappresentate al Cnel (ma in una certa misura ‘’rappresentative’’) ‘’coprono’’ 387.066 lavoratori (3%). Questi contratti ‘’minori’’ poi non vanno meccanicamente annoverati come ‘’pirata’’.
È prassi consolidata che i medesimi testi dei rinnovi contrattuali stipulati dalle federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil con le rispettive controparti, siano sottoscritti, separatamente, da una pletora di altre organizzazioni sindacali minori, autonome o dall’UGL, non accettate al tavolo del negoziato insieme ai confederali storici. Va da sé che analoghe procedure si svolgano per tutti i contratti nazionali riconducibili ad un settore. I testi sono sempre gli stessi, cambiano solo le rappresentanze firmatarie.
Per questi motivi si spiega che il numero dei contratti ‘’figli di un dio minore’’ sia maggiore di quelli di alto lignaggio. I medesimi contratti sono contati più volte come gli aerei di Mussolini e le vacche di Fanfani. I ‘’contratti pirata’’, invece, sono quelli negoziati da organizzazioni prive di qualsiasi rappresentanza. Secondo stime attendibili, questi ultimi riguardano lo 0,3% del complesso dei lavoratori (44mila). Come funziona l’arrembaggio dei pirati alla contrattazione corretta? Solitamente un’organizzazione sindacale spuria convince un gruppo di imprese in un determinato territorio a stipulare un contratto nazionale in dumping.
Ma il vero problema è un altro. Il 17° Report del CNEL certifica che dei 976 CCNL relativi al settore privato, 553 (il 57%) risultano scaduti. E riguardano ben 7.732.902 lavoratori, il 56% del totale. Il maggior numero di dipendenti con contratto scaduto si trova – in misura del 96% – nel “Terziario e Servizi”: un settore in espansione, anche sul piano occupazionale, ma in condizione di debolezza sindacale..
Tutto ciò premesso, ci sarebbero altre valutazioni da compiere in ordine logico: a) se l’Italia vanta una copertura contrattuale superiore al 90%; b) se ad assicurare questa elevata copertura sono, in misura del 97%, i contratti sottoscritti dai sindacati appartenenti a Cgil, Cisl e Uil; c) se i sindacati minori, invece, sono firmatari di contratti che riguardano 387mila lavoratori privati; d) se i ‘’contratti pirata’’ interessano lo 0,3% del totale (44mila soggetti); e) se, infine, 3,5 milioni sono i dipendenti con retribuzioni inferiori a 9 euro l’ora (lordi?), la conclusione può essere una sola.
Alla maggioranza dei lavoratori sottopagati si applicano dei contratti sottoscritti dalle confederazioni storiche, le quali, proprio perché non riescono più a fare il loro mestiere (si vedano i contratti scaduti) chiedono l’aiuto della legge. Infine, una curiosità: che senso avrebbe applicare erga omnes dei contratti che non vengono rinnovati da anni? Il principio del primum exsistere vale anche nel campo delle relazioni industriali.
