Codice Rosso, una nuova strada da seguire, ma senza nuove leggi

Prima di nuove leggi per cercare di arginare la violenza domestica e di genere, sarebbe forse opportuno applicare correttamente quelle esistenti.
Un segnale in tal senso è arrivato ieri dall’Osservatorio permanente sull’efficacia delle norme in tema di violenza di genere e domestica, istituito dal ministro della Giustizia in collaborazione con il Gruppo di lavoro sulla violenza di genere costituito presso il Consiglio superiore della magistratura. L’Osservatorio ha infatti elaborato un questionario per far emergere le buone pratiche organizzative e le esigenze degli uffici giudiziari rispetto alla gestione dei procedimenti per reati di violenza di genere e domestica. Il questionario sarà indirizzato al momento a tutte le Procure ed è articolato in più sezioni, corrispondenti agli ambiti di interesse dei quesiti: specializzazione e formazione dei magistrati sulla violenza di genere e domestica; unitarietà, personalizzazione del fascicolo e distribuzione dei carichi di lavoro; tempestività dell’azione giudiziaria; valutazione del rischio e protezione della vittima; coordinamento tra Uffici giudiziari; coordinamento con la Procura ed il Tribunale per i minorenni; coordinamento con il Tribunale penale e civile; valutazione della pericolosità dell’indagato; monitoraggio dei dati statistici riguardanti le misure coercitive adottate; reti interistituzionali; principali criticità riscontrate nella trattazione della materia di violenza di genere e domestica.

La formazione dei magistrati

Il principale problema in questo ambito è proprio la mancanza di uniformità nelle azioni di contrasto, dove molto è ancora lasciato alla sensibilità degli inquirenti. La risposta alla violenza di genere e domestica, “un’emergenza sociale tragica ed inquietante” come non smette di ricordare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è purtroppo non sempre all’altezza. Qualsiasi legge risulta inefficace se non è accompagnata da una puntuale organizzazione degli Uffici giudiziari che assicuri specializzazione, tempestività e coordinamento con le Forze dell’ordine e la Rete sociale e territoriale. Senza dimenticare, infine, una formazione specifica per coloro che saranno chiamati ad occuparsi di questi reati quanto mai odiosi. Per i magistrati, ad esempio, la formazione non può essere soltanto normativa o giurisprudenziale ma necessariamente “empatica”, finalizzata ad una migliore comprensione delle problematiche sollevate dalle persone offese.

Le denunce delle donne

Esiste inoltre il grande tema della ‘sottovalutazione’ delle denunce presentate dalle donne, talvolta erroneamente ritenuto frutto di una asserita litigiosità di coppia. Dirimente sarebbe infine la presenza di personale femminile, sulla carta più sensibile, anche emotivamente, a mobilitarsi a difesa delle donne che denunciano una situazione di pericolo, negli uffici preposti per il contrasto a tali reati. Dal punto di vista normativo, invece, le ultime modifiche hanno rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti con l’introduzione del codice rosso ai fini dell’instaurazione del procedimento penale, accelerando così l’adozione di provvedimenti a tutela delle vittime.

Il “fattore tempo” incide in maniera significativa. Diverse denunce sono oggetto di “ridimensionamento” in quanto la tensione del momento porta anche ad amplificare condotte che, con gli animi rasserenati, sono inquadrabili in maniera molto diversa. Senza considerare il rischio di strumentalizzazione della denuncia da parte del coniuge in fase di separazione dovuto all’obbligo di trasmissione degli atti da parte del giudice penale a quello civile. Fra i punti qualificanti della legge, l’informativa alla persona offesa circa gli sviluppi del procedimento penale, soprattutto con riferimento alla messa in libertà dell’autore della violenza.

“Nel governo Renzi abbiamo lavorato molto su questi temi e rafforzato la strategia in una duplice azione: più prevenzione e norme più severe. Oggi si devono rafforzare le azioni di prevenzione sul territorio e potenziare i centri anti violenza di personale qualificato. Occorre intervenire prima, educare, far emergente le paure e i rischi, far circolare le notizie e creare reti che funzionino”, afferma il giudice Cosimo Ferri, ex parlamentare di Italia Viva. “In molte occasioni – prosegue – l’ultimo incontro, quello dove l’autore del reato e vittima si incontrano per chiarire è quello che diventa teatro del femminicidio”. “Tra scuola, Forze dell’ordine, servizi sociali, istituzioni locali, centri anti violenza, occorre un collegamento costante. Ciascuno può fare la sua parte ma anche da parte della società civile può esserci più attenzione nel segnalare. Questa è la strada da seguire perché i reati ci sono e finisci in carcere e sono ostativi alle misure alternative. Quindi non servono nuove norme perché significa non voler affrontare la questione”, conclude Ferri.