Il Profeta Maometto non sapeva né leggere né scrivere: di conseguenza, ha fatto dei sermoni i cui discepoli hanno trascritto. Dopo la sua morte, circolava un gran numero di Corani, tutti difformi e in contrasto tra di loro. Il Califfo Uthman, terzo nella discendenza, vedendo una difficoltà nell’interpretazione del pensiero di Maometto (cosa che avrebbe messo in discussione la stessa nascita dell’Islam) li bruciò tutti e ne dettò uno, basandosi sui suoi ricordi, le sue aspirazioni e i suoi desideri a tre scrivani in quattro copie, mandati in quattro diverse città, ed è quello che è giunto a noi. Paradossalmente, ha riportato in un solo testo tutte le contraddizioni e le difformità, nonché gli errori, di quelli bruciati.
Tutti sanno – ed è riconosciuto dalla scienza – che non esistono i fatti ma l’interpretazione di essi, e che uno stesso avvenimento (in questo caso le parole) può essere modificato o stravolto dalla nostra coscienza. In questo caso, il Corano è un falso storico attribuito ad altri e non al reale autore. Come per i Vangeli si usa la formula “dal Vangelo secondo Matteo, Luca, Giovanni o Marco”, si dovrebbe utilizzare la stessa formula “dal Corano secondo Uthman”. Queste opere sono state scritte da uomini, e non possono essere definite “parole dirette di Dio”.
Il Corano per i musulmani è parola di Dio. Errore. Perché dietro di esso non c’è né Allah (Dio), né Muhammad (il Profeta), né Jibril (l’Arcangelo Gabriele). E qui entriamo in un altro aspetto della mia ricerca. Dante colloca sia Maometto che il Califfo Alì (l’uomo che ha creato la divisione nell’Islam tra sunniti e sciiti) nel 28esimo Canto dell’Inferno, il girone degli scismatici. Equivoco medioevale. Avrebbe dovuto collocare in questo girone il Califfo Uthman (l’autore del Corano) e l’Alim Hanbal (dottore della chiesa islamica), quello che ha confermato il Corano. Collocando sia Maometto che Alì nel Limbo, insieme ad Averroè, Avicenna e Saladino (grandi personaggi islamici) insieme alle grandi figure storiche del passato, non battezzate.
Questa operazione culturale chiude 700 anni di contrasti tra musulmani e cristiani. Ma c’è una conseguenza. Sia la Sharia che le gerarchie ecclesiastiche islamiche non hanno più alcun valore. C’è un altro aspetto interessante: se nel cristianesimo e nell’ebraismo ci sono gli anelli di congiunzione tra Dio e l’uomo (sacerdoti e rabbini), nell’Islam il rapporto tra Dio e l’uomo è diretto. Nessuno si può interporre. Le conseguenze sono intuibili: le moschee, il pellegrinaggio alla Mecca, il Ramadan, le cinque preghiere giornaliere e tante altre ritualità.
