Il premier ha incassato ieri anche la fiducia alla Camera, pur vedendo rinviato il voto definitivo sulle intercettazioni a giovedì. Lasciando spazio oggi al decreto coronavirus, come compromesso che, a Montecitorio, la maggioranza evita l’attacco del centrodestra sugli ascolti e la minaccia stessa che il decreto possa non essere convertito in tempo per sabato 29 febbraio. Ma la Lega non vuole fare sconti alla maggioranza rispetto a un decreto su cui ha già scatenato la guerra al Senato, tentando di bloccare il voto con l’emendamento su chi detiene materiale pedopornografico e chiedendo per questo l’uso del Trojan. Sembrava che la strategia aggressiva contro le intercettazioni fosse stata messa da parte, soprattutto dopo il passo indietro di Forza Italia. Il responsabile Giustizia Enrico Costa aveva già lanciato il primo segnale domenica in commissione Giustizia, quando aveva ritirato l’emendamento per rinviare di un anno la prescrizione: «Non me la sento davvero di tenere impegnata la commissione per almeno un paio d’ore sulla prescrizione quando, fuori di qui, tutto il Paese è in allarme per la diffusione del coronavirus. Comunque resta in aula la mia proposta di legge che elimina del tutto la prescrizione e ci sarà tempo, all’inizio di marzo, per discuterne con calma». Infatti, superato il suo emendamento, il testo delle intercettazioni era passato. Ma Costa affonda: «La foga della maggioranza nel procedere a tappe forzate sul decreto intercettazioni, ponendolo come priorità assoluta, ha una sola spiegazione. Questo decreto è la merce di scambio che il Pd ha ottenuto di fronte al dietrofront sulla prescrizione. Se salta il decreto salta l’accordo». A saltare, slittando in avanti, potrebbe invece essere il referendum sul taglio dei parlamentari, previsto per il 29 marzo ma la cui campagna potrebbe subire il contraccolpo del coronavirus. Dopo Più Europa, ieri è stata Forza Italia, con il presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini, a chiedere il rinvio. Il premier si è mostrato scettico sull’ipotesi, ma la realtà è che il grosso dei parlamentari indipendentemente dall’appoggio al “si’” o al “no”, fa il tifo per lo slittamento di un paio di mesi. Chiusa la “finestra” del possibile voto anticipato a settembre-ottobre, la legislatura ne risulterebbe allungata almeno fino a febbraio 2021.
Coronavirus, volano schiaffi tra Conte e Fontana
