Corridoio Imec, Roma torna crocevia del Mediterraneo. Bergamini: “Così il Made in Italy arriverà in India”

Il nostro vecchio mondo è oggi martoriato dai conflitti e profondamente disconnesso tra i singoli stati che tendono, sempre più a puntare a una sorta di “indipendenza” economica e culturale rispetto agli altri. In questo quadro confuso e preoccupante, l’On. Deborah Bergamini, vicesegretaria e Responsabile esteri di FI, nonché membro della Commissione Esteri della Camera ci parla di Imec, il nuovo corridoio economico India-Medioriente-Europa.

Cos’è il progetto Imec, e quali sono i suoi obiettivi?
«Il progetto Imec è ormai di fatto una realtà. Se c’è una lezione che abbiamo imparato a causa della globalizzazione, è proprio la necessità di vedere l’interconnessione tra paesi come una potenzialità, e non come un elemento sfavorevole. Imec si propone di sviluppare una connettività di natura viaria, tecnologica e, naturalmente, commerciale tra quello che noi chiamiamo il “Mediterraneo allargato” e i Paesi arabi, per arrivare fino all’India. La cooperazione politico economica è, in questo momento così critico, l’unico modo che abbiamo per ripartire e per poter cambiare – in via definitiva – questo paradigma che si rivela oggi così disfunzionale e dannoso per tutti».

Che contributo ci aspettiamo dall’India e dal Medioriente, per il successo di questa nuova rotta?
«L’India è il paese più popoloso del mondo, con un potenziale di crescita straordinario: un interlocutore naturale per l’Italia dal punto di vista commerciale, perché ha in comune con noi il fatto di essere un paese molto attivo nel manifatturiero, seppure, ovviamente con proporzioni diverse. Siamo anche due popoli che fanno del commercio, una caratteristica di forza economica. I Paesi arabi sono nazioni che stanno vivendo un’imponente crescita a livello produttivo, tecnologico e di connettività. Anche le risorse naturali a loro disposizione, a partire dal petrolio, rendono questi paesi attori importanti per la stabile ed efficace cooperazione politica che vogliamo raggiungere».

I conflitti attuali rappresentano un ostacolo ingombrante…
«Basandoci sulla storica citazione di Bastiat “dove non passano le merci, passano gli eserciti”, noi dobbiamo impegnarci a far sì che ci siano delle condizioni per cui gli scambi delle merci possano realizzarsi pacificamente e, in qualche modo, che questo porti ad arginare le tensioni e i conflitti che colpiscono non soltanto l’area mediorientale, ma tante parti del mondo. Se si coopera in termini non solo politici ma anche economici e tecnologici, si può costruire un corridoio effettivamente salvifico, che non solo sia d’aiuto per creare sempre meno conflitti nel mondo e contribuire, magari alla risoluzione degli attuali, ma che faccia anche da acceleratore per la crescita di paesi culturalmente e socialmente molto diversi tra loro».

Un progetto ambizioso.
«Assolutamente sì. Ma di progetti di grande ambizione che si sono realizzati, ne abbiamo visti tanti, basti pensare all’Unione europea. È proprio nei momenti maggiormente critici, che diventa imperativo non solo non perdere l’ambizione, ma anche imparare a lavorare insieme per costruire il futuro, superando la diversità con la diplomazia tradizionale, ma anche con l’aiuto della diplomazia commerciale. Da liberale, auspico anche che si mantenga un sano schema competitivo – che è necessario al libero mercato – ma che sia una competizione collaborativa, non una competizione selvaggia che non può portare che alla conflittualità, come accade oggi. Un’altra eredità della globalizzazione fallita…».

A livello di export, forse Imec può aiutare l’Italia nell’ottica di smuoversi dalla produzione prettamente Made in Italy?
«Certo, con la consapevolezza che questo non significa delocalizzare la nostra produzione, ma internazionalizzarla. Il Ministro Tajani ci lavora già da tempo: sono state portate avanti molte iniziative per favorire l’internazionalizzazione del nostro prodotto, anche aprendosi a nuovi mercati in paesi come il Sud America o l’India. Moltiplicare i corridoi commerciali, non può essere che un beneficio per il nostro Made in Italy, e la strategia del Governo italiano, è proprio quella di investire nel nostro export, valorizzandolo. Oggi, grazie al piano Mattei, al corridoio dell’Indo-Mediterraneo e grazie anche alla ricerca diretta di nuovi mercati potenziali, stiamo perseguendo concretamente l’obiettivo di rafforzare la cifra del nostro export, che attualmente ammonta a oltre 620 miliardi, laddove possiamo raggiungerne anche mille. Si può fare, supportando le nostre imprese che, già da sole, fanno un lavoro straordinario».