«I Cinque Stelle vogliono alla guida della Corte dei Conti un magistrato che mi ha insultato pesantemente in più di una circostanza. Per me personalmente non c’è che una soluzione: chiedere i danni in sede civile per gli insulti e le menzogne. E questo faccio». Così ha scritto Matteo Renzi nella sua ultima enews. «Ma la partita – ha proseguito il leader di Italia Viva – va oltre la mia persona: è sconvolgente che nessuno rifletta sul fatto che questa politicizzazione scandalosa, con l’assegnazione di incarichi di responsabilità a chi insulta leader politici, è devastante per la credibilità delle Istituzioni.
«Se un magistrato della Corte dei Conti – ha proseguito l’ex premier – insulta esponenti delle istituzioni con toni degni di un hater sul web, come si può pensare di promuoverlo al vertice dell’Istituzione? Che messaggio si dà agli altri colleghi magistrati? Che bisogna appoggiarsi ai partiti e attaccare gli avversari? E se questo è il rigore istituzionale del vertice della Corte dei Conti, con quale credibilità possiamo stare in un’aula per un procedimento contabile? Può sembrare una piccola cosa, ma veder promosso ai vertici della magistratura chi insulta dà il senso della crisi istituzionale che stiamo vivendo. Tecnicamente uno scandalo».

Pochi giorni fa, Il Foglio aveva raccontato come il dottor Tommaso Miele, favorito per la nomina a presidente della Corte dei Conti per la sua vicinanza al M5s, attraverso il suo account Twitter (successivamente disattivato) avesse ripetutamente espresso giudizi offensivi nei confronti dell’allora segretario del Pd: «È tornato Renzi, il bullo furbastro bugiardo». «Oggi giorno di festa comandato dal Signore: è tornato sulla scena il cazzaro di Rignano sull’Arno. Ancora parla. Ha la faccia come il…». Sono solo alcuni dei tweet in cui Miele attaccava Renzi, esprimendo il suo appoggio al partito di Luigi Di Maio: «Per evitare che torni Micron (che proprio non lo reggo) voterò convintamente M5s», diceva. Rispetto all’eventualità che Tommaso Miele, dopo aver pubblicamente dichiarato di essere un sostenitore del M5s, possa diventare il prossimo presidente della Corte dei Conti Renzi ha dichiarato che «Quella è una scelta che tocca al governo, non a me».
LA SMENTITA DI MIELE: ‘QUEI TWEET SU RENZI NON SONO MIEI’ – “Quei tweet non sono miei, non mi riconosco in quelle parole. Io non uso quel linguaggio e tutti mi considerano una persona molto equilibrata e garantista”. Tommaso Miele, presidente della Corte dei Conti del Lazio in predicato di approdare al vertice della Corte dei Conti nazionale, si difende così dall’attacco ricevuto dal leader di Iv Matteo Renzi, che aveva preannunciato una querela nei suoi confronti. Nel mirino dell’ex premier alcuni tweet offensivi che erano circolati vorticosamente in rete. Che recavano la firma dello stesso magistrato. “Quei tweet, che sono presenti sul mio profilo – si è difeso Tommaso Miele – sono stati scritti da una persona a me ignota, che evidentemente ha avuto accesso al mio account, utilizzando indebitamente il mio Ipad, che spesso lasciavo incustodito in ufficio anche per diversi giorni e senza alcuna protezione”. “Lasciavo l’Ipad senza password – ha proseguito il magistrato – perché potessero usarlo i miei collaboratori per la ricerca di leggi o provvedimenti. Un errore che oggi non ripeterei. Riconosco di essere stato poco accorto da questo punto di vista ma io sono assolutamente trasparente, non ho nulla da nascondere”. Inoltre, continua Miele, “visti gli orari credo che chi ha scritto quei tweet abbia portato a casa sua l’Ipad”. All’epoca della pubblicazione peraltro, aggiunge, “io non usavo l’account da alcuni anni. Di fatto era abbandonato”.
Miele è stato definito dalla stampa come un ultrà grillino ma garantisce: “Non sono mai stato iscritto al Movimento 5 Stelle, né ad altri partiti, né ho mai manifestato pubblicamente il mio pensiero politico perché ritengo che un giudice non lo debba mai fare”. Poi chiarisce: “Io non ce l’ho con Renzi, assolutamente, anzi ho avuto modo di apprezzarne soggettivamente l’azione di governo. Approfitto di questa occasione per chiedergli formalmente scusa non già per il contenuto dei tweet che non sono miei, ma per il fatto che siano stati pubblicati per effetto di mia mancata vigilanza sul profilo social”. In buona sostanza, i tweet incriminati sarebbero in rete da anni. Ma Miele si chiede perché mai siano venuti fuori proprio adesso. “Non ci voglio neppure pensare che in una magistratura, in occasione della nomina del vertice, si ricorra a complotti però in tanti – anche colleghi – mi fanno notare la circostanza che vengano tirati fuori proprio ora questi tweet, benché pubblici, vecchi di 4 anni. Giudichi chi ha gli elementi per farlo, anche a me la circostanza e la coincidenza sorprendono ma più di questo non posso dire”. “La mia nomina – aggiunge Miele – forse non è gradita a qualcuno all’interno della Corte, forse dà fastidio che io sia – stando a quel che ho letto sui media – stato indicato quasi all’unanimità da tutto il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, sia dai componenti laici che dai componenti togati”. Come abbiamo imparato dal caso Palamara, in magistratura non regna certo l’armonia e la concordia. E anche Miele ne sarebbe testimone diretto.
Non è la prima volta che “qualcuno cerca di mettermi in cattiva luce. Già in passato, del resto, in occasione di procedure concorsuali per importanti posti di funzione -rivela- qualcuno ha cercato di sgambettarmi facendo uscire ad orologeria notizie riguardanti inchieste penali da cui io sono stato immediatamente estromesso già in fase istruttoria, non appena i magistrati hanno avuto modo di leggere la carte, riconoscendo il comportamento assolutamente irreprensibile del sottoscritto. A me tutto ciò dispiace. Ho sempre tenuto un basso profilo, proprio per l’incarico importante che ricoprivo. Chi mi conosce lo sa, ho sempre portato rispetto per le istituzioni figuriamoci se potevo arrivare a scrivere tweet del genere”. Matteo Renzi fa sapere intanto di apprezzare lo “spirito costruttivo” di Miele. Probabile si chiariranno di persona. Come usa tra galantuomini in buona fede.
