Carlo Cottarelli è un punto di riferimento importante per la politica economica italiana. Ha tentato, con funzioni di governo, per molti anni, di ridurre il costo delle amministrazioni pubbliche. Poi, sfiduciato dalla politica quando proponeva azioni concrete, ha scritto libri importanti spiegando che il peso del nostro debito uccide la competitività del paese e ne limita le possibilità di sviluppo, che non esiste una riduzione delle tasse senza una riduzione della spesa pubblica, che non esiste una prospettiva di sviluppo senza un deciso calo del debito. Ha fondato l’Osservatorio dei Conti Pubblici e, con Gianpaolo Galli, sta svolgendo un grande lavoro di analisi e proposte sulla situazione della finanza pubblica.
Ha una straordinaria esposizione mediatica dovuta innanzitutto alle sue indubbie qualità scientifiche e comunicative, oltre al fatto che il presidente della Repubblica lo chiamò a formare un governo nei giorni che hanno preceduto la nascita dei disastrosi governi Conte. Dunque, quando un economista come Cottarelli scrive un articolo in prima pagina su La Repubblica, ci si aspetta un monito alla politica: il Covid ci ha costretti a indebitarci, abbiamo il supporto delle istituzioni europee (Bce, Commissione, Mes) e di Germania e Francia che ci offrono fonti di finanziamento alternative ai “mercati volatili”.
Questo quadro ci consente di avere i tassi di interesse, per il momento, sotto controllo, ma il fabbisogno finanziario è destinato ad aumentare in modo esponenziale per i prossimi anni. Le nostre basi sono molto fragili. Politiche, perché la presidenza tedesca dell’Ue tra 4 mesi finisce. Economiche, perché non sappiamo come evolverà il virus e l’Italia continua a non avere alcuna capacità organizzativa per convivere a lungo con il problema (vedi situazione delle scuole, tamponi negli aeroporti, il rapporto tra scienziati e governo, la vicenda dell’inutile app Immuni). Di finanza pubblica, perché il governo ha usato il “tana liberi tutti” sul deficit per fare l’esatto contrario di quello che avrebbe dovuto fare: cioè sta usando l’enorme quantità di deficit per aumentare la spesa corrente, aumentare la presenza dello stato nell’economia, buttare soldi in mille rivoli, salvare Alitalia e altre aziende decotte, nazionalizzare imprese, intervenire nelle decisioni di aziende quotate, generare incertezza normativa, allontanare per sempre investitori italiani e stranieri, invece di sostenere la base produttiva del paese. Da un articolo di Carlo Cottarelli in prima pagina su La Repubblica ci si aspetta che dica, con autorevolezza accademica e credibilità scientifica, che l’Italia non può tradire la fiducia dell’Europa e dei risparmiatori italiani e stranieri, continuando ad alimentare un sistema costoso ed inefficiente, politiche assistenziali e corporative, a non affrontare il grande problema delle produttività del nostro sistema economico e del drammatico gap tra nord e sud del Paese.
E invece, commentando qualche giorno fa la riforma fiscale proposta dal ministro Gualtieri, Cottarelli sembra disarmare il suo arsenale di argomenti che ne hanno fatto un “nemico” del partito della spesa e sembra non solo assecondare, ma quasi “rassicurare” il governo perché continui le sue politiche assistenziali in un quadro di finanza pubblica tutto sommato stabile. Sarà forse che anche Carlo Cottarelli, come tanti intellettuali “liberali e riformisti” che in questi giorni scrivono editoriali sui principali quotidiani, sia un neo-sostenitore dell’asse PD-5S? Sarebbe un vero peccato, perché c’è tanto bisogno di persone di qualità con la voglia di combattere per il futuro del Paese.
