Crescita al ribasso e mutui più cari: l’Italia sia prudente dopo le previsioni nere del Fondo Monetario

International Monetary Fund Managing Director Kristalina Georgieva walks to the podium during the 2022 annual meeting of the International Monetary Fund and the World Bank Group, Friday, Oct. 14, 2022, in Washington. (AP Photo/Manuel Balce Ceneta)

Come scienza sociale, l’economia non si prefigge soltanto di trovare spiegazioni empiricamente valide per i fenomeni più importanti come l’andamento del Pil, dell’inflazione e della disoccupazione, ma deve altresì formulare previsioni sul comportamento futuro di queste ed altre grandezze rilevanti, ovviamente partendo dall’analisi dei legami di causa ed effetto che servono per costruire le spiegazioni di cui sopra. Ad esempio se la propensione al consumo scende per un accresciuto pessimismo, oppure perché si è esaurita la spinta temporanea a recuperare il consumo perduto durante gli anni della pandemia e dei lockdown, non possono che ridursi le previsioni sull’andamento della crescita economica futura, in quanto basate sull’idea/spiegazione secondo cui il consumo è la componente fondamentale all’interno della domanda complessiva di beni e servizi.

Economisti indipendenti, centri di ricerca e istituzioni internazionali, oltre che le banche centrali e i ministeri dell’economia, si impegnano nel compito non facile di formulare previsioni e per l’appunto di aggiornarle qualora elementi nuovi sopraggiungano, con l’effetto di modificare in senso ottimistico o pessimistico le previsioni stesse. Ebbene, ieri il Fondo Monetario Internazionale con il suo World Economic Outlook ha abbassato le stime di crescita per l’economia mondiale e per i diversi paesi per quest’anno e il successivo: per l’economia mondiale la stima attuale è di una crescita del 3% nel 2023 e del 2,9% nel 2024 rispetto al 3,3% del 2022, con un taglio dello 0,1% per entrambi gli anni. Il profilo temporale della crescita è piuttosto chiaro: il recupero del Pil reale dopo il crollo “a v” avvenuto nella prima metà del 2020 a motivo della pandemia e dei lockdown è stato fortissimo nel 2021 e piuttosto forte nel 2022, mentre comincia ora a mostrare un evidente indebolimento, ancora più pronunciato a motivo di queste revisioni al ribasso delle stime di crescita. Le economie più avanzate mostrano una traiettoria simile, ma con tassi di crescita più piccoli (il 2,6% nel 2022, l’1,5% e l’1,4% per quest’anno e il 2024), ma con un’eterogeneità importante ai due lati dell’Atlantico, con gli USA e l’Unione Europea che crescono di più del previsto e meno del previsto, rispettivamente.

L’andamento del ciclo economico – quello che un tempo si chiamava “congiuntura” – è un ambito in cui risulta piuttosto naturale ragionare nei termini proverbiali del “mal comune, mezzo gaudio”, come nel caso qui presente di un rallentamento generalizzato dell’economia mondiale, affaticata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dalla crescita e dalla volatilità dei prezzi dell’energia (gas e petrolio) e dagli effetti recessivi delle politiche monetarie finalizzate a ridurre l’inflazione. Tuttavia nel caso dell’Italia bisogna notare come le previsioni del Fondo Monetario, in sintonia con i dati sorprendentemente deludenti del nostro Pil nel secondo trimestre dell’anno in corso, siano state riviste al ribasso in maniera decisamente più accentuata rispetto a quanto fatto per l’economia globale e per l’insieme dei paesi sviluppati: tanto per intenderci, la stima di crescita per il 2023 è stata tagliata dello 0,4% (cioè dall’1,1% allo 0,7%), mentre la stima di crescita per il 2024 è stata ridotta dello 0,2% (dallo 0,9% allo 0,7%). L’economia italiana è rimbalzata velocemente e robustamente fuori dal crollo del Pil avvenuto nel 2020, ma si trova a rallentare vistosamente il suo cammino di crescita, anche in ragione del forte impatto delle politiche monetarie restrittive della BCE: come evidenziato ieri dal dato aggiornato di Bankitalia, il tasso di interesse complessivo sui mutui è salito ad agosto al 4,67% rispetto al 4,58% di luglio. Sembrano ormai lontanissimi i tempi dei mutui a tasso fisso con tasso di interesse vicino o addirittura inferiore all’1%. Come ben noto agli operatori sul mercato immobiliare, anche le città più esuberanti come Milano vedono nel 2023 un sostanziale crollo delle operazioni totali effettuate, dove è difficile non scorgere l’effetto dell’impennata del costo del denaro.
È praticamente ovvio che la Banca Centrale Europea debba spingere verso l’alto i tassi di interesse per ridurre il tasso di inflazione, ma – come è stata in ritardo nell’alzare i tassi nel 2021 e inizio del 2022 – il timore è che essa sia parallelamente in ritardo nel prendere una direzione distensiva che consista nel mantenere inalterati i tassi di interesse, per poi ridurli almeno a partire dal 2024. Sotto il profilo dei conti pubblici il ministro dell’economia Giorgetti sa bene che questi elementi spingano verso una legge di bilancio prudente. Lo sanno anche i partiti in Parlamento?