Crisi industriale ed ecologica, fare un new deal per uscirne

In questo stato di cose, neanche si può pensare ad avere un ruolo nel grande balzo tecnico-scientifico che investirà il lavoro fino all'intelligenza artificiale, che apre già interrogativi capitali sulla sua qualità e sulla sua quantità. L'impotenza della politica ha conseguenze disastrose. Gli interrogativi sul cosa, come, dove, per chi produrre dovrebbero al contrario riguardarla per prima; sono le domande della programmazione. Quando la politica era viva lo sapeva. Era il 1949-50 e, di fronte alla questione storica che il lavoro proponeva al Paese, la Cgil di Giuseppe Di Vittorio lanciò il Piano del Lavoro, una proposta di politica economica e sociale, una proposta di mobilitazione che caratterizzò un'intera fase storica. Si dirà che oggi la sfida sul lavoro è divenuta ancor più ardua di fronte a un comando potente quanto sfuggente, dentro una centralizzazione del lavoro senza concentrazione della forza di lavoro e in una sua polarizzazione estrema. Ma senza un programma di valorizzazione del lavoro la crisi sociale si aggrava. La programmazione dovrebbe perciò investire i problemi della sua distribuzione, di una drastica riduzione dell'orario di lavoro, di un mutamento di fondo del rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita, dovrebbe investire la questione del rapporto di potere tra il lavoratore e l'impresa, il tema dell'autogoverno, dell'autogestione. Si dirà che quelli del Piano del Lavoro erano altri tempi, e di un'altra politica... Senonché i tempi attuali, se è possibile, richiedono non meno, ma più capacità di progettare il futuro perché la crisi economica e sociale si colloca, adesso, in una condizione generale di instabilità e di incertezza. La domanda su quale futuro si fa dunque più pressante e lo diventa tanto più in quanto siamo dentro la grande transizione. La questione ambientale, lo sconvolgimento del rapporto tra l'uomo e la natura ce lo mostrano con un'evidenza schiacciante tanto da diventare la base della mobilitazione mondiale di una nuova generazione, tanto da diventare il movimento che denuncia il rischio della catastrofe e le colpe di un'intera classe dirigente. Esso sta occupando le strade del mondo per chiedere il cambio.