Da Hammamet l’Italia si vede da un’altra prospettiva. È come stare un po’ dentro e un po’ fuori. Il Bel Paese è a poche miglia di mare, i tremila italiani che hanno deciso di vivere qui da pensionati sono proiettati mentalmente verso il continente, ma poi anche loro fanno parte almeno un po’ di un mondo altro e fiero della propria diversità. Che ti avvolge, protegge, contamina. Certo, per un periodo, soprattutto se hai avuto una vita ricca di relazioni, puoi sentirti “come in una gabbia”, come Bettino Craxi si è sentito negli anni di quello che fu a tutti gli effetti un esilio politico. Passeggiava su e giù per la casa, seguiva le vicende italiane, interveniva con fax di puntualizzazione spediti alle redazioni e per lo più ignorati. Faceva anche qualche passeggiata per le vie della vecchia Medina, prendeva un tè o un caffè.
Qui Craxi è ancora un “santo laico” di una città musulmana e araba che di storie di incursioni cristiane (persino dei Cavalieri di Malta) ne ha conosciute tante. Al bar della parte più alta della Medina il signore che serve caffè turco indica l’angolo in cui Craxi sedeva, poi tira fuori una vecchia spilla con il rosso garofano simbolo del Psi. Lo volle Craxi, al posto della vecchia falce e martello, per segnalare anche iconicamente la sua visione politica: abbandonare il marxismo e ritornare a quel socialismo umanitario e solidaristico, libertario e progressista, che aveva fatto la sua prova migliore nella Milano di fine Ottocento.
Mentre Enrico Berlinguer e i comunisti si illudevano concependo ipotetiche “terze vie” fra socialismo e capitalismo, e predicavano “l’austerità”, Craxi chiudeva definitivamente con le storture del “secolo breve”. I comunisti, non pronti a questo passo, sarebbero stati travolti dalla caduta del Muro. Ma, in verità, lo sarebbe stato anche Craxi, il quale forse non aveva intuito la nuova sponda in cui si sarebbe esercitata l’egemonia culturale a sinistra: non quella di un moderno socialismo, ma quella giustizialista. Come scrisse nei giorni di Hammamet, in Italia si realizzò allora un «golpe postmoderno, senza militari, giocato su nuclei della magistratura e dell’informazione» che seppero toccare «punte altissime di delirio e mistificazione», dilagando «sul terreno della persecuzione». Una storia che dura ancora oggi, ove l’ultimo prodotto di quel clima giustizialista, il movimento di Grillo, è al governo.
E il governo qui ad Hammamet non si è fatto vedere. Brutto segno di incapacità di fare i conti con la propria storia non solo da parte della sinistra, ma anche dallo Stato italiano. La libertà di cui abbiamo goduto nei primi cinquanta anni della Repubblica è stata figlia anche di un sistema di finanziamento dei partiti formalmente illegale ma perfettamente legittimo dal punto di vista della ragion di Stato. Tutti ne facevano parte e tutti sapevano, ma Craxi solo ha pagato. Anche come uomo di Stato, primo capo del governo socialista, Bettino ha lasciato il segno.
L’Italia, sotto la sua guida, è diventata la quinta potenza industriale del mondo, sorpassando la Gran Bretagna. Soprattutto Craxi ha individuato un ruolo per l’Italia nel mondo e ha fatto sì che il nostro Paese fosse da tutti rispettato. Sigonella fu ovviamente la prova del nove, con la difesa strenua della nostra sovranità nei confronti di Ronald Reagan (che comunque ebbe modo poi dire che Craxi si era comportato da grande). Un paradosso solo apparente che a non soccombere alle richieste americane fosse uno dei più atlantisti dei leader italiani! E poi c’era l’attenzione per i movimenti di liberazione nazionale, in un’ottica garibaldina e mazziniana insieme, risorgimentale. E la lotta alla povertà, e a ogni tipo di dittatura. Amava la libertà sopra ogni cosa, perché, come è scritto sulla sua lapide, la libertà equivale alla vita.
Qualcuno potrebbe pensare che le celebrazioni di Hammamet di questi giorni, con la infaticabile figlia Stefania a far da motore, abbiano guardato al passato, non fosse altro per la presenza di tutti i leader di un tempo (da Margherita Boniver a Claudio Martelli, da Ugo Intini a Claudio Signorile) e per quella di tanti dirigenti anche locali del vecchio Psi. Non bisogna lasciarsi ingannare: esse guardano al futuro. L’Italia è ferma proprio perché quella cultura cattocomunista e azionista che ostacolò Craxi la blocca ancora oggi. Craxi parla a noi anche se non avrebbe probabilmente capito certe derive della postpolitica. Lui che della politica aveva fatto il pane quotidiano.
E la sua fine, come dice Marcello Sorgi nel suo libro appena uscito (Presunto colpevole, Einaudi) «concluse gli anni Novanta e consegnò alla storia del Novecento il principio del primato della politica, mettendoci una bella pietra sopra».
