Dai ragazzi di Charlie Kirk a quelli di Gioventù Nazionale: perché non si tratta del ritorno dell’autoritarismo fascista

FENIX SENZA FILTRI STRISCIONE IN MEMORIA DI CHARLIE KIRK

Due mondi che non si parlano più. Questa la definitiva, plateale fotografia dei momenti che hanno chiamato a raccolta le piazze in questo lungo ultimo weekend. Da una parte la sontuosa cerimonia di commiato a Charlie Kirk, nello stadio di Glendale, in Arizona. Duecentomila i partecipanti, a detta degli organizzatori.

Comunque, una folla immensa per una kermesse che ha detto e dirà tanto sul futuro della destra americana e che ha tenuto incollato al video mezzo mondo. L’omicidio del 10 settembre ha trasformato Kirk non in un martire, di certo per alcuni è così, ma in un simbolo, in un modello di arrivismo, di politica dal basso, di partecipazione destinato a rompere gli schemi della politica, non solo quella a stelle strisce. E ha fatto di Turning Point USA un’organizzazione globale capace, sull’onda dell’emozione, di riunire migliaia di persone in preghiera anche in Europa. Solo a Londra erano decine di migliaia davanti al Palazzo Reale con striscioni e candele in civile processione.

Spostandoci nelle lande di casa nostra, quest’ultimo è stato il weekend di festa di Gioventù Nazionale, il meeting dei giovani che fanno capo a Fratelli d’Italia. Sul palco si sono succeduti ospiti di vario genere e di vario colore politico. I più applauditi, in un clima di sincero interesse e di leggerezza sono stati proprio gli invitati “stranieri”, con una storia molto lontana, in passato, da quella della destra e oggi, neanche così stranamente assonanti con questo movimento in un certo senso post ideologico, per loro stessa ammissione. Le porte erano aperte e la cordialità non di maniera. Un segno di intelligenza e non solo politica, che impone di prendere sul serio, semmai fosse ancora necessaria una conferma, un processo di formazione di una nuova leva di ragazzi che guarda dritto al futuro. Con più di una ragione, anche ben oltre questa esperienza di governo.

La coincidenza di questi due momenti politici, benché temporalmente casuale, restituisce l’immagine di un fenomeno politico con radici profonde nella società, un’espressione di questo mondo nuovo che vuole e può plasmarlo, imprimendogli una direzione molto precisa. Sottostimare o, peggio, derubricare questo passaggio con sufficienza come banale populismo o, peggio, come ritorno dell’autoritarismo oscurantista e fascista significa semplicemente essere ottusamente fuori dalla storia, quella con la S maiuscola. Poi, dall’altra parte abbiamo assistito alla mobilitazione dell’ennesimo sciopero nazionale indetto dal sindacato. Questa volta il copione è la ripetizione di una protesta che va in scena più o meno con le stesse parole d’ordine da qualche mese a questa parte. Stavolta con un focus specifico su Gaza. In piazza bandiere palestinesi insieme a quelle canoniche. Slogan canonici pure questi e la sensazione che si reciti a soggetto per forza d’inerzia, più per mancanza di una vera prospettiva che per convinzione. Polemiche tante, politica non pervenuta.

In questi due giorni, guardando all’energia che emanavano le iniziative sui due fronti sembrava di essere su due piani temporali inconciliabili anche per il più abile dei fisici quantistici. Due messaggi da due mondi. Uno in corsa verso il domani, l’altro ritorto su sé stesso, in cerca d’autore. Due mondi alieni, come in un film distopico. Due universi paralleli che non si parlano più. Quando, invece, sarebbe necessario. Sarebbe il sale di una democrazia matura. Ma il sale brucia sulle ferite, si sa. E per il momento questo è l’immaginario che rimane.