«Non si può chiedere a un cane di miagolare, o a un gatto di abbaiare, o a me di leggere l’opera completa di Dostoevskij»; nelle conclusioni del suo Le corna stanno bene su tutto, Giulia De Lellis ammette candidamente di non aver mai letto un libro – eppure il suo romanzo autobiografico è stato uno dei maggiori successi editoriali della scorsa stagione, avendo venduto oltre 100 mila copie. La scrittura del testo è agile, vivace, divertente, ed è merito della editor mondadoriana Stella Pulpo (che compare col suo nome, sia pure in piccolo, in copertina, rompendo finalmente l’omertà consueta per i ghost letterari). La De Lellis nasce alle cronache come “corteggiatrice” a Uomini e donne: lì si innamora del proprio “tronista” che poi la tradirà; dal gossip finisce al Grande Fratello Vip e ora, grazie a indubbie doti di grinta e bellezza, è una influencer di primo piano (4,5 milioni di follower).
Stella Pulpo ha saputo cogliere la schiettezza semplice della sua narrazione orale (o via WhatsApp), il coraggio di mostrarsi in piena crisi da tradimento. Essendo scrittrice in proprio e non semplice editor, la Pulpo ha evitato la lingua standard che puzza di computer aziendale, passando da una franca volgarità («principe azzurro del cazzo», «la nostra storia è andata a farsi fottere», «gliel’ho data») ad ammicchi per lettori colti (le “lettere a nessuno” di moreschiana memoria), da un cordiale romanaccio («famo un paio») a un facile lirismo («le macerie del cuore»); concedendosi perfino qualche civetteria di esibita ignoranza («io non faccio neppure gli squat per allenare il culo, figuratevi se alleno il cervello!»).
Ha mantenuto la barbarie di fondo, come se secoli di letteratura sul tradimento fossero evaporati in un lampo e Giulia De Lellis dovesse dire tutto lei per la prima volta, senza sfumature e gradazioni: «Scopri che il confine tra il “ti amo” e il “vaffanculo” è incredibilmente sottile» (qui forse Dostoevskij avrebbe aiutato). Certo, la barbarie si paga con la superficialità: il femminismo che traspare è basico e sbrigativo («il giorno in cui Dio ha assegnato l’empatia agli esseri umani, i maschi erano tutti impegnati a guardare la finale di Champions»), c’è il coraggio di mostrarsi distrutta ma non quello di concedere al fedifrago la parola, il lieto-fine è tutto egocentrico («alzare il mio valore», «mi fido di me», «il mio principe sono io»).
Ma il dato più interessante del libro è l’assenza di qualunque idea di autonomia della letteratura: la De Lellis tratta il suo romanzo come un manuale di self-help, spera che sia “utile”, c’è perfino un eptalogo per ragazze tradite – non pretende di “creare un’opera”, vuole solo “condividere un’esperienza”. Per questo, anche, non immagina un pubblico universale ma un target definito, le “ragazze”; un po’ come Boccaccio, presentando il suo Decameron, si rivolgeva al pubblico delle «vaghe donne» (ma non era sincero, aveva in testa la Divina Commedia). È qui che si annoda il legame più forte tra letteratura e social, nel venir meno di ogni tensione verso “l’eternità” della letteratura per considerarla invece un veicolo come un altro (e come gli altri, effimero) di comunicazione. Lo scouting che le case editrici vanno facendo tra le giovani o giovanissime blogger non ha mere motivazioni di cassa, ma è frutto dell’aver annusato nell’aria una mutazione in corso, che forse un’epoca è finita.
Ops di Elisa Maino viaggia anch’esso (Rizzoli l’ha già messo in economica) verso le 100 mila copie, e anche qui si ha l’impressione che la storia letteraria sia passata invano («godiamoci il momento perché prima o poi finisce» è estratto da Cigno nero di Fedez, non da Orazio o da Lorenzo il Magnifico); la protagonista quindicenne ha come romanzo di riferimento E allora baciami di Roberto Emanuelli. L’atmosfera del libro oscilla tra Le otto montagne di Cognetti e il cartone animato di Heidi, la trama è perfino troppo melodrammatica, ma il vero happy end si ha quando il ragazzo fascinoso, lupo infelice e solitario, scende a Milano e si converte a Facebook («per Instagram e Snapchat ci vorrà ancora qualche mese»).
Valeria Vedovatti, sedicenne, ha già raggiunto quota 40 mila con Come stai?, autofiction adolescenziale che ha l’aspetto anche grafico di un diario scolastico. Rizzoli lo presenta come “fotoromanzo” perché il racconto è corredato da molte fotografie (lei in costume sgambato da ginnasta, i familiari, le amiche, il ragazzo figo, i tramonti, la palestra) e decorato con cuoricini rosa, brillanti, scritte in maiuscolo, emoticon (cuori, fiorellini e disegni infantili non mancano nemmeno nella De Lellis). I sentimenti sono elementari ed elencati in bell’ordine: paura, rabbia, gelosia, vergogna; tutto ricomincia, com’è giusto, dal sillabario. La protagonista quindicenne, Gioia, affronta i piccoli dolori della sua età ma ha un’anima solare, che si affida agli slogan di Walt Disney («se puoi sognarlo, puoi anche farlo») e trova infine l’amore nello «strano della classe», che si dimostra un ragazzo sensibile: «siamo due bambini felici che non hanno bisogno di sapere niente».
Queste ragazzine scriventi, tra i 16 e i 23 anni, pensano positivo perché hanno una vita (borghese) davanti e nessuna zavorra alle spalle; credono davvero che l’amore non sia amore se non fa star bene, che nella vita si facciano solo passi avanti e mai indietro: “scoprono” che ci si può «sentire soli anche in mezzo a un mare di persone» e non conoscono Violetta Valéry. La loro forza è proprio nel non sapere, con un’ingenuità adorabile che le vecchie volpi del romanzo rosa potevano solo fingere. Se i barbari avessero saputo quanto era grande l’Impero Romano, mica sarebbero venuti. Forse stiamo andando incontro a una fase culturale in cui le storie hanno bisogno di essere vissute, raccontate e consumate in fretta; direttamente dai protagonisti, che si trasformano in personaggi di se stessi perché la virtualità della rappresentazione sta diventando la vera realtà. In attesa che le grandi costruzioni formali (ve li ricordate, i “classici”?) tornino ad essere necessarie.
