Dal neorealismo a oggi, la cultura è solo per le élite

Un esempio per tutti, secondo Canova, è la provocazione che lanciò Pietro Citati dal Corriere della Sera quando sostenne che è meglio non leggere nulla, e non prendere neanche in mano un libro, piuttosto che leggere i bestseller di autori come Giorgio Faletti o Paulo Coelho. Questo modo di contrapporre cultura alta e bassa – «o sei côté “cinepanettone” o sei côté “Alice Rohrwacher”» – è per Canova la trappola da cui si dovrebbe uscire guardando ai prodotti di qualità anche legati ai generi, da Petri a Monicelli, da Argento a Leone. Bene criticare l’indifferenza di scrittori e registi nei confronti del pubblico; ottimo strigliare gli accademici che pensano più «alle carriere dei professori, e agli allievi dei professori, e alle scuole dei professori, e agli interessi degli amici dei professori» che agli interessi delle giovani generazioni. Peccato che questo libro, di 243 pagine, risponda alle premesse del titolo e della presentazione solo fino a pagina 69. Alla prima parte infatti, che comunque «mescola materiali inediti con la rielaborazione di alcuni articoli usciti sul magazine 8 ½», segue una seconda parte che si attiene a una delle peggiori pratiche accademiche: la riproposizione di vecchi saggi rimessi insieme. Leggendo questa seconda parte viene inevitabilmente da chiedersi con che asprezza Canova tuonerebbe contro questa operazione editoriale – tipica proprio del mondo accademico sul quale ironizza tanto – in cui si confezionano libri-collage riciclando pezzi ormai datati. Usare come esca in libreria un titolo “accattivante”, Ignorantocrazia. Perché in Italia non esiste una democrazia culturale, per offrire al lettore articoli degli anni Ottanta non rientra a pieno titolo in quelle pratiche accusate da Canova, quelle che respingono il pubblico dalla cultura?