Dazi, costi alti per l’Italia. Allo studio misure di compensazione per evitare danni ai produttori. Ipotesi ristori da Bruxelles

Alla fine il “deal” c’è stato: l’accordo tra Stati Uniti ed Europa sui dazi è stato firmato domenica tra Donald Trump, presidente Usa, e la numero uno della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Un accordo che, il giorno dopo, fa storcere più di qualche naso e impone ai portavoce di Bruxelles continue precisazioni e indicazioni di chiarimento. Ricordiamo che il tutto inizia lo scorso 2 aprile, quando il 47esimo presidente degli Stati Uniti dichiara il “Liberation day” e impone dazi a tutti i partner commerciali accusati di essersi “approfittati” degli Usa per fare affari che hanno messo in difficoltà l’economia a stelle e strisce. Da quel momento è iniziato un tira e molla di trattative, che hanno visto annunci di tariffe nei confronti dell’Ue fino al 30%.

I dati

Nell’accordo scozzese, i punti salienti sono tre. Innanzitutto una tariffa unica del 15% per la stragrande maggioranza delle merci europee esportate negli Stati Uniti, tra cui auto, farmaci, semiconduttori, componenti industriali e generici. Ancora, i settori strategici come aeromobili e componenti, alcuni chimici, farmaci generici, apparecchiature per semiconduttori, alcuni prodotti agroalimentari, materie prime critiche: soggetti al sistema “zero per zero”, ovvero dazi nulli reciproci. Infine, per acciaio e alluminio i dazi restano al 50%, ma è prevista l’introduzione di un sistema a quote per ridurre gradualmente tali tariffe.

Perché questo accordo fa storcere il naso? In primo luogo perché il 15% indica un aumento di quasi 14 punti della tariffa pre-Trump. Ancora, il dazio così strutturato fa bene all’industria automobilistica tedesca, che vede le “tasse” di importazione negli Usa calare di ben 10 punti. Ricordiamo che Trump aveva imposto il 25% su tutte le auto importate nel Nord America. Mentre la politica del sistema “zero a zero” fa molto bene all’industria aerospaziale francese. E per l’Italia? Restano dazi del 15% per tutte le materie, e si discute ancora dell’eventuale esclusione di alcuni tipi di vini. Ma su questo il deal non è proprio chiaro.

Le contropartite

Non è finita qua. L’Europa si impegna ad acquistare miliardi di dollari in prodotti energetici (petrolio, gas, nucleare) dagli Usa nell’arco di tre anni: circa 250 miliardi di dollari l’anno. Le aziende europee, per i prossimi tre anni, si impegnano a investire 600 miliardi nel Paese di Trump. Resta sempre sul piatto l’obbligo dei Paesi membri dell’Unione europea di comprare armi dagli americani.

La digital tax

Resta un dubbio sulla digital tax da applicare alle corporation americane. Domenica von der Leyen aveva fatto sapere che sarebbe stata tolta in cambio di un accordo sui dazi. Nella giornata di ieri, però, fonti della Commissione hanno spiegato: “Nel corso dei negoziati, sia a livello tecnico che politico, abbiamo difeso con determinazione l’autonomia dell’Ue in materia normativa. Non è stato preso alcun impegno sulla regolamentazione del digitale, né sulla tassazione dei servizi digitali, che” peraltro “non rientra nelle competenze Ue”. Inoltre, “abbiamo tutelato con fermezza il nostro diritto a regolamentare, e questo è stato uno degli obiettivi centrali del negoziato”, evidenziano. A conferma del fatto che il Digital services act e il Digital markets act restano capisaldi.

I costi per l’Italia

Non è facile stimare l’impatto dei dazi sull’export italiano negli Stati Uniti. Bisogna anzitutto tenere a mente che con oltre 65 miliardi l’anno, il Belpaese è il secondo partner europeo degli Usa. In base ad alcune stime, l’impatto complessivo potrebbe aggirarsi intorno ai 10 o 12 miliardi di euro all’anno; quasi mezzo punto percentuale di Prodotto interno lordo. In modo particolare, sarebbe colpito il comparto dell’agroalimentare, della produzione di macchinari e di farmaci: le tre voci più rilevanti delle vendite italiane nel Nord America.

Le aziende dovranno attrezzarsi in due modi: contenere i costi per evitare di perdere i clienti americani, tranne ovviamente quelle del lusso; cercare nuovi mercati per sostituire il calo di domanda che con ogni probabilità arriverà dagli Stati Uniti. A questo punto urge un intervento per evitare ulteriori danni ai produttori del Made In Italy. Bisognerebbe studiare misure di compensazione, ma non è chiaro chi potrebbe erogarle. Il Bilancio italiano non consente interventi nemmeno di piccola entità. La palla passerebbe alla Commissione europea: individuare ristori che siano da supporto alle imprese. Ma siamo sicuri che a Bruxelles lo vogliano fare?