Gli Stati Uniti e il Giappone hanno trovato un’intesa sui dazi, mentre il dialogo con l’Europa procede ma i risultati all’orizzonte non si vedono. Si può sintetizzare così l’ennesima giornata di colloqui per evitare una guerra di tariffe tra le due sponde dell’Atlantico. Un primo risultato Trump lo ha raggiunto: ha ottenuto un accordo con il Paese del Sol Levante. Tutte le merci importate da Tokyo avranno dazi al 15%. Il Giappone si impegna a realizzare investimenti per 500 miliardi di dollari negli Usa. Nessun impegno, invece, per la spesa militare.
“Per la prima volta il Giappone apre il suo mercato agli Stati Uniti, persino ad auto, Suv, camion, all’agricoltura e al riso, che è sempre stato un no assoluto”. Lo ha scritto Donald Trump su Truth dopo aver annunciato l’accordo commerciale con Tokyo. “Il libero mercato giapponese potrebbe essere un fattore di profitto tanto importante quanto i dazi stessi, ed è stato ottenuto solo grazie al potere delle tariffe”.
L’Europa tentenna
Invece all’orizzonte non si vede un accordo con l’Unione europea. Anzi, Bruxelles ha messo a punto una lista di contro-dazi nei confronti degli Stati Uniti con tariffe fino al 30%. La Commissione Ue ha proceduto a unificare i due elenchi di contro-dazi finora messi a punto – una prima lista di misure da 21 miliardi, una seconda da 72 – e nei prossimi giorni sottoporrà le contromisure ai Paesi membri. La lista di contro-dazi non scatterà fino al prossimo 7 agosto. È quanto spiegato da un portavoce della Commissione Ue, sottolineando che l’esecutivo europeo sta lavorando “a potenziali nuove contromisure”. “La priorità è il negoziato ma parallelamente continua la preparazione delle contromisure”, rimarca il portavoce.
Secondo le indiscrezioni, se le trattative dovessero fallire, la Ue avrebbe intenzione di imporre tariffe al 30% su 100 miliardi di merci Usa. Il problema dell’Europa in questa trattativa, però, sta nell’incapacità decisionale della Commissione. O, se si vuole essere più buoni, nel poco potere che von der Leyen ha su questo dossier. Ogni proposta, infatti, deve essere approvata dai Paesi membri. Alla Casa Bianca, invece, basta un post sui social di Trump per scatenare conseguenze. Insomma, mentre gli Usa agiscono, l’Europa – come al solito – parla senza mettere in campo una benché minima risposta.
Secondo il Financial Times Ue-Usa potrebbero raggiungere un accordo sui dazi al 15%. Bruxelles intanto avvisa Trump: senza una giusta intesa, la maggioranza dei Paesi può dare l’ok al bazooka
Il fattore big tech
Secondo alcune indiscrezioni del Wall Street Journal, gli Stati Uniti stanno facendo sentire la loro voce a Bruxelles, spingendo su due fronti delicatissimi: quello delle big tech e quello farmaceutico, considerato particolarmente sensibile. Da parte americana ci sarebbero pressioni per escludere i colossi tecnologici statunitensi da alcune delle nuove regole europee e per ottenere una semplificazione delle normative. Ma il nodo centrale resta una soglia tariffaria del 15%, attorno alla quale ruota gran parte del confronto. Quello che preoccupa davvero la Commissione europea, però, è un altro aspetto: anche se si arrivasse a un accordo, non è affatto detto che tutti i Paesi membri — e soprattutto il mondo imprenditoriale — siano pronti ad accettarlo.
Dal fronte europeo, però, cominciano a levarsi voci che chiedono un intervento più drastico nei confronti americani. Il Financial Times scrive che l’Europa “ora deve dimostrare di essere disposta ad attivare il suo ampio arsenale di strumenti non tariffari”. “Trump non ha fretta di raggiungere un accordo con un blocco che sembra disprezzare”, evidenzia il foglio della City, indicando che “il più grave errore dell’Unione europea è stato pensare di poter negoziare un accordo tradizionale”. Avvalendosi dello strumento anti-coercizione, l’Europa potrebbe iniziare con “misure mirate che minimizzino i danni”, come escludere le aziende Usa dagli appalti pubblici, sospendere l’equivalenza normativa per le società finanziarie americane o tassare i ricavi pubblicitari delle big tech. “Dovrebbe anche minacciare di spingersi molto oltre, se necessario”, insiste il FT, sostenendo che tutto questo aiuterebbe “gli elettori americani a comprendere il costo della follia commerciale di Trump”.
