Dazi, Trump apre all’accordo con l’UE. L’Italia rischia 38 miliardi di export

Prosegue a ritmo serrato la trattativa tra Stati Uniti e Unione Europea per scongiurare i dazi al 30 per cento che Trump ha ordinato dal primo agosto. Si respira aria di ottimismo anche se tutte le parti in gioco sono d’accordo su due elementi. La prima è che la trattativa necessita di pazienza. La seconda è che appare assai improbabile che il “deal” si chiuda con “dazi zero”. Dai piani alti di Bruxelles, così come evidenziano alcuni esponenti politici anche italiani, ci si è messi l’anima in pace perché una tariffa bisognerà pagarla.Il punto di partenza per tutti è il 10 per cento.

Il 30 per cento di sarebbe una tragedia per l’economia del vecchio Continente e soprattutto per Germania e Italia, principali partner commerciali degli Usa. Anche nella giornata di ieri non sono mancate le dichiarazioni dell’inquilino della Casa Bianca che, questa volta, volgono alla ragionevolezza. Dice il Presidente “un accordo potrebbe essere raggiunto con l’Europa” ma “l’Unione europea è stata brutale, e ora si sta comportando in modo molto gentile. Vogliono raggiungere un accordo (…) che però sarà molto diverso dall’accordo che abbiamo avuto per anni”. Non solo, il Tycoon conferma tariffe generalizzate per quasi tutti i Paesi del mondo tra il 10 e il 15 per cento: “Avremo ben oltre 150 Paesi a cui invieremo un avviso di pagamento”.

I conti

Si cominciano a fare i primi conti di questa tornata di dazi. Uno positivo è sicuramente per il bilancio pubblico statunitense. L’ondata di tariffe commerciali ha consentito a Washington di raddoppiare gli incassi sugli scambi e portarli a cento miliardi di dollari. Allo stesso tempo, a giugno il bilancio americano segnerà un surplus, cioè le entrate saranno maggiori delle uscite, proprio grazie ai balzelli imposti da The Donald. Era dal 2017 che non accadeva e ci sarà un tesoretto di 27 miliardi di dollari. Fin qua i numeri positivi per gli Usa. Quelli negativi riguardano il leggero aumento dell’inflazione, che a giugno segna un più 2,7 per cento in crescita di 0,3 punti rispetto a maggio e la successiva “guerra” che Trump sta facendo al numero uno della Federal Reserve, Jerome Powell, reo di non abbassare i tassi di interesse.
Per l’Europa non vanno meglio le cose. In modo particolare, il dollaro debole crea tensione tra i produttori. Come spiega il numero uno di Confindustria, Emanuele Orsini, ai dazi del 30 per cento bisogna aggiungere il dollaro più debole dell’euro del 13 per cento. Ciò comporta un costo “più alto” per l’export delle imprese del 43 per cento. Un valore francamente impossibile da sostenere per qualsiasi economia che corrisponde a circa 38 miliardi di export in meno. Anche per questo, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, auspica un accordo: “scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, che dal mio punto di vista non avrebbe alcun senso e che impatterebbe soprattutto sui lavoratori. Tutti i nostri sforzi sono rivolti a questo, chiaramente in collaborazione con gli altri leader, con la Commissione europea che ha la competenza sul dossier”.

Ritorsione sui servizi

Oltre ai controdazi su acciaio e alluminio che entrerebbero in vigore il 6 agosto in mancanza di un accordo, l’Unione Europea sta preparando un elenco di potenziali dazi sui servizi statunitensi, nonché controlli sulle esportazioni, come parte di una possibile ritorsione in caso di fallimento dei negoziati. Lo riporta il Financial Times online citando due funzionari informati sui colloqui. Uno dei funzionari ha sottolineato che la lista non riguarderà solo le aziende tecnologiche statunitensi. La Commissione Ue – spiega il foglio britannico – sta preparando l’elenco di misure come parte della sua risposta alle tariffe del presidente americano Donald Trump, ma deve ancora presentarlo agli stati membri.

Trattative

Le speranze di un accordo sono in mano a Marco Sefcovic, commissario europeo al commercio e capo negoziatore, il quale da ieri è a Washington per tentare di chiudere un accordo vantaggioso per tutti. Secondo alcune indiscrezioni, l’obiettivo è chiudere al 15 per cento. Citare questi numeri quando si parla con Trump, però, è solo un azzardo. Bisognerà aspettare il momento della chiusura per capire se ci sarà un patto globale o se Usa e Ue si accorderanno materia per materia. Intanto il vecchio Continente è ancora diviso. Da un lato Germania e Italia che spingono per una trattativa serrata. Dall’altra la Francia e i Paesi dell’Est, meno esposti con gli Usa, che invece reclamano azioni di forza contro i dazi americani. Insomma, “grande è la confusione sotto il cielo”.