Dazi, Trump spavaldo con tutti ma mai con la Cina: la paura fa 90 giorni di tregua. Per Goldman Sachs i costi maggiori cadranno su cittadini e aziende Usa

(AP Photo/Mark Schiefelbein)

Niente dazi sull’oro e tregua tariffaria con la Cina per altri novanta giorni. Prosegue la “guerra commerciale” a bassa intensità innescata dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Le notizie più importanti della giornata riguardano proprio il metallo prezioso e i rapporti con il gigante asiatico. Trump ha dichiarato che l’oro non sarà soggetto a dazi, annullando una decisione delle autorità doganali statunitensi secondo cui i lingotti di metallo prezioso importati dalla Svizzera sarebbero stati soggetti a dazi.

“L’oro non sarà soggetto a dazi!” ha dichiarato Trump in un post su Truth Social, come riporta il sito della Cnbc. Il metallo prezioso ha raggiunto un massimo storico venerdì, dopo che la “U.S. Customs and Border Protection” ha stabilito che i lingotti d’oro fusi da 1 chilogrammo e 100 once provenienti dalla Svizzera erano soggetti ai dazi del 39 per cento imposti da Trump sulle importazioni dal Paese. I lingotti d’oro di questo tipo vengono utilizzati per sostenere contratti sul Commodity Exchange o COMEX, il principale mercato a termine per oro, argento e altri metalli.

Tregua con Pechino

Ancora, il Tycoon ha concesso altri novanta giorni di “tregua” alla Cina sui dazi per continuare i negoziati. In un post su Truth, pubblicato nella notte, il presidente americano ha scritto: “Ho firmato un ordine esecutivo che estenderà la sospensione delle tariffe alla Cina per altri 90 giorni. Tutti gli altri elementi dell’accordo resteranno gli stessi”. La pausa di novanta giorni, che sembra spianare la strada all’atteso faccia a faccia tra Trump e il leader cinese Xi Jinping, scadrà alla mezzanotte del 10 novembre, ora degli Stati Uniti. “Continuano”, si legge nell’ordine esecutivo, i colloqui con la Cina “per affrontare la questione della mancanza di reciprocità commerciale nei nostri rapporti economici” e i “timori a livello di sicurezza nazionale e sicurezza economica”. Pechino, prosegue il testo, “continua ad adottare misure significative” per “rispondere alle preoccupazioni degli Stati Uniti”.

Per la Casa Bianca la proroga della tregua è “necessaria per facilitare i colloqui in corso, produttivi”, con il gigante asiatico sul fronte degli “squilibri commerciali, delle pratiche commerciali sleali, dell’ampliamento dell’accesso al mercato per le esportazioni americane”. Viene precisato che durante questo periodo restano in vigore i “dazi reciproci” al 10 per cento e “altre misure tariffarie” stabilite dagli Usa. Alla Casa Bianca sanno benissimo che la Cina non è l’Europa e che Pechino gestisce alcune delle materie prime fondamentali per l’industria tecnologica Usa. Non solo, il Dragone ha in mano quasi mille miliardi di debito pubblico americano senza contare la voglia di esercitare un duello alla pari con Washington. Insomma, è decisamente difficile pensare che Pechino possa capitolare come una Von Der Leyen qualunque. Ecco perché dall’Est stanno “vedendo” ogni mossa americana: se gli Usa alzano le tariffe, la Cina fa lo stesso; cosi come se li abbassano, Pechino va incontro alla tregua.

Il “dazio” su Nvidia

Ha meravigliato molto l’accordo che è stato reso noto dal New York Times tra due colossi dei semiconduttori americani, Nvidia e Amd, e il governo di Washington. Secondo le indiscrezioni, le due corporation verseranno agli Stati Uniti il 15 per cento delle loro vendite in Cina di chip avanzati per l’Intelligenza Artificiale.

Chi paga le tariffe?

Cominciano ad arrivare le prime analisi sull’impatto economico dei dazi. Un paper interessante è stato diffuso da Goldman Sachs, la banca d’affari americana, che ha analizzato chi effettivamente sta pagando i dazi. L’analisi si riferisce al mese di giugno scorso. Secondo lo studio, le imprese che esportano negli Stati Uniti stanno assorbendo i dazi per il 14 per cento. Le aziende americane, quindi gli importatori, si sono fatti carico del 64 per cento delle nuove tariffe. I cittadini, infine, del 22 per cento. Sempre secondo lo studio, nei prossimi mesi i prezzi sugli scaffali del Paese a stelle e strisce sono destinati a salire. Tutto ciò, infatti, sta causando la cosiddetta “inflazione da traslazione”, cioè il costo dei dazi sarà di volta in volta scaricato sui prezzi finali. Si legge nello studio della banca: “La nostra analisi indica che gli effetti dei dazi hanno finora aumentato il livello dei prezzi Pce core (è un indicatore dell’inflazione basato sulle spese effettive e imputate sostenute dai consumatori negli Stati Uniti, ndr) dello 0,20 per cento. Ciò porterebbe l’inflazione Pce core al 3,2 per cento su base annua a dicembre”.