Dazi, Usa a rischio boomerang: “Scenario 10% quello più ragionevole”. Se tariffe falliranno, Powell sarà capro espiatorio

JEROME POWELL PRESIDENTE FEDERAL RESERVE

In sei mesi il mondo è cambiato. Questo è un dato di fatto. Che però sia soltanto colpa di Trump è tutto da dimostrare. «Il vecchio ordine mondiale faceva acqua da tutte le parti. Il presidente si è limitato a dargli una spallata». Un osservatore italiano, di base a Washington, vicino al mondo repubblicano, traccia il bilancio di questo primo semestre del tycoon alla Casa Bianca. Ne mette in luce un fallimento, geopolitico, e due scenari economico-finanziari che si stanno presentando.

Partiamo dalla guerra russo-ucraina. La trattativa è fallita per l’intransigenza di Putin, ma anche per le pressioni eccessive di Trump a portare Zelensky su posizioni più concilianti. «L’Ucraina non può più sperare di recuperare i territori perduti, mentre la Russia deve abbandonare l’idea di ottenerne altri», ci spiega ancora il nostro interlocutore. Si profila quindi una guerra di posizione la cui svolta è prevedibile, ma non prima di inizio 2026.

Sulle questioni economico-finanziarie, invece, Trump non ha perso né la fiducia degli investitori né quella dei consumatori. Entrambi vivono nell’attesa degli effetti delle politiche tariffarie. Qui siamo a un bivio. Lo scenario A dei dazi al 10% – peraltro non generalizzati in quanto ai settori di auto, acciaio e rame verrebbe riservato un altro trattamento – è quello su cui gli analisti puntano. «È più ragionevole per tutti». Lo scenario B a Washington non viene preso nemmeno in considerazione. Se non come esercizio di simulazione. «L’idea di un regime tariffario al 30% piace ai media perché è scioccante». Ma sarebbe come un embargo che imporrebbe allo stesso consumatore Usa un cambiamento radicale del suo modo di fare acquisti. «Se i negoziati con l’Ue dovessero saltare, è probabile che Trump faccia come con la Cina, rilanciando al 50-60%, per poi scendere progressivamente».

Meglio lo scenario A, quindi. Con degli effetti sì irreversibili – il vecchio ordine è disarmato e indietro non si torna – ma diluiti in più mesi. «I dazi al 10% porterebbero a un’inflazione tra lo 0,3 e lo 0,5% nella tranche restante del 2025. Di questa variazione, il cittadino americano si accorgerebbe solo in parte visto che, di contraltare, godrebbe degli sgravi fiscali, garantiti in maniera permanente, generati dal Big Beautiful Bill». La legge di bilancio 2026 va a sostegno delle classi medie e delle Pmi americane. È un intervento che dovrebbe dare la stura a 5 trilioni di dollari in 10 anni e sancire il ritorno degli Stati Uniti come superpotenza manifatturiera globale. Due i settori da rilanciare prima di tutto: auto e immobiliare. Il secondo soprattutto vale tra il 7% e il 10% del Pil. Oggi, con i mutui al 7-8%, è alla canna del gas. Con il combinato disposto 10% di dazi e Big Beautiful Bill, Trump si porterebbe a casa un 2-3% di crescita del Pil nei prossimi sei mesi. «Da confermarsi poi per un periodo più lungo».

La finanza continua a credere a Trump, quindi. A inizio anno le probabilità di recessione per l’economia americana erano del 60-70%. Adesso sono quasi nulle. Nemmeno la guerra con la Fed scalfisce questo moderato ottimismo. «Qualora la congiuntura internazionale dovesse peggiorare e le politiche tariffarie non innescassero i benefici promessi, un capro espiatorio come Powell potrebbe tornare utile». Cauta fiducia anche dai sondaggi. Gli ultimi, diffusi dal Quinnipiac University Poll, istituto indipendente del Connecticut, dicono che il 40% degli elettori approva Potus praticamente su tutti i dossier. Dal picco del 42% per le scelte economiche al minimo del 34% sul tema Russia-Ucraina. Solo sul caso Epstein le cose non vanno bene: il 17% degli intervistati approva come la Casa Bianca stia gestendo il caso. Una stima che dovrebbe portare Trump alle dovute riflessioni. Ieri il New York Times scriveva che, per i Maga duri e puri, i segreti fanno del presidente un tassello del Deep State. Un elemento dell’apparato anche lui da smontare. Detto questo, per Trump è una promozione con riserva, d’accordo, ma ben superiore al 20% di consenso per il Partito democratico al Congresso. Il risultato peggiore di sempre, dal 2009 a oggi.