Negli ultimi anni, mentre l’Europa inseguiva (e tutt’ora insegue) con affanno l’indipendenza energetica e le filiere industriali in costante ricerca di nuove stabilità, l’alluminio è emerso come una delle materie prime più strategiche del continente. Leggero, riciclabile all’infinito, fondamentale per la transizione green e il manifatturiero avanzato, questo metallo è entrato di diritto nel fascicolo europeo delle materie prime critiche. Un riconoscimento che non è arrivato per caso: tra le realtà più attive nel sollecitare il governo italiano e Bruxelles, figura Confimi Industria, che ha denunciato a più riprese l’emorragia di rottami verso India e Cina – 2.750.000 mila tonnellate solo nel 2024 – rischiosa per qualsiasi ambizione di economia circolare. Un paradosso: si esporta la base della sostenibilità per poi dipendere da altri per la trasformazione.

Oggi, però, sul comparto dell’alluminio — così come su quello dell’acciaio — si abbatte una minaccia ancora più concreta: i dazi imposti dagli Stati Uniti. A lanciare l’allarme è Paolo Agnelli, presidente di Confimi Industria: «Nonostante i dazi al 15% su altri comparti possano mitigare l’impatto complessivo, prevediamo una perdita del 20% sul fatturato italiano verso gli Stati Uniti, pari a circa 12 miliardi di euro». Le tariffe punitive varate da Washington colpiscono in modo diretto acciaio e alluminio, che restano soggetti a dazi del 50%: un livello che pone le imprese europee e italiane in una condizione di netto svantaggio competitivo. «Le nostre fonderie e trafilerie pagano già l’energia tre o quattro volte in più rispetto ad altri paesi europei. Ora si aggiunge anche il muro tariffario americano», denuncia Agnelli.

Paolo Agnelli
Paolo Agnelli

Le scelte di Trump seguono una logica precisa: riportare la produzione entro i confini nazionali. Ma per Agnelli si tratta di una strategia miope: «Anche volendo, per costruire un’acciaieria servono almeno tre anni, anche se la burocrazia americana è più snella della nostra». Nel frattempo, gli Stati Uniti non potranno rinunciare alla qualità del made in Italy, che resta insostituibile. E sì, perché poi bisogna anche fare i conti con conoscenze e competenze proprie di alcuni settori. Ad esempio, è nel cuore della Lombardia che si concentra il vero “centro mondiale” dell’estrusione dell’alluminio: qui si realizzano le matrici più sofisticate utilizzate dalle industrie di tutto il mondo. Questo triangolo tecnologico è emerso negli ultimi anni come fulcro della filiera italiana grazie alla sua capacità di offrire qualità senza rivali «tra Bergamo, Brescia e Milano ci sono tutti i produttori di stampi per estrusione e tutto il mondo viene qui a comperare». Si può dunque rinunciare al fatto in Italia?

Il protezionismo, avverte Agnelli, potrebbe trasformarsi in un boomerang per le stesse imprese americane: «Con costi più alti delle materie prime e un dollaro destinato a indebolirsi, il prezzo dei prodotti statunitensi salirà e anche il loro export ne risentirà». A pagarne il prezzo, secondo Agnelli, saranno i cittadini americani, alle prese con rincari e carenze. A complicare lo scenario è la mancanza di chiarezza normativa: «Un tubo speciale sarà tassato come metallo grezzo, quindi al 50%, o come prodotto finito, quindi al 15%? La risposta cambia l’equilibrio commerciale di intere filiere», spiega Agnelli. E mentre a Washington si alzano muri, da Bruxelles non arriva una risposta all’altezza: «Non possiamo certo dirci soddisfatti dell’esito della trattativa tra Von der Leyen e Trump. Non si chiedeva una guerra commerciale, ma almeno di combattere una battaglia». Secondo Confimi, l’UE ha perso un’occasione per usare leve fiscali e ha preferito invece acquistare oltre 400 miliardi di gas liquido dagli Usa, a condizioni più costose rispetto ad altre fonti.

Di fronte a questo scenario, l’unica via percorribile per le imprese italiane è la diversificazione geografica. «Le nostre aziende dovranno essere veloci a espandersi verso altri mercati, in particolare nei Paesi del Golfo come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, dove c’è domanda di qualità», suggerisce Agnelli. Una sfida che richiederà investimenti, capacità organizzativa e — possibilmente — un supporto concreto da parte del governo, per accompagnare l’internazionalizzazione e contenere l’impatto di politiche estere sempre più aggressive.

Cesare Giraldi

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