Decreti sicurezza di Salvini vanno cambiati, propaganda ha distrutto integrazione e sviluppo

Non abbiamo bisogno di vittorie ideologiche con l’abolizione tout court dei decreti Salvini; abbiamo bisogno di una politica, lo voglio ripetere, di ragionevolezza e buon senso che faccia delle persone che cercano un futuro nel nostro Paese, una leva di sviluppo e di ricchezza, anche culturale, come dimostra tutta la nostra secolare storia. Una lettura meno datata delle prescrizioni della Convenzione di Ginevra, che è del 1951, offrirebbe alle Commissioni una possibilità di valutazione più larga alla luce anche dei principi costituzionali del nostro Paese e della normativa comunitaria, prendendo in esame scenari e sensibilità nuove, dalle crisi ambientali alla violazione dei diritti fondamentali. Così dovrebbero essere prese in esame le tante fragilità e i percorsi di sofferenza vissuti nel viaggio, spesso infernale, attraverso i Paesi di transito; e ciò non per un atteggiamento genericamente accogliente, ma per il rispetto delle persone e delle loro storie tragiche.  Tante risposte possono venire anche da direttive amministrative adeguate, frutto di conoscenza ed esperienza maturata in questi anni, rinunciando alla ferocia che ci ha già visto protagonisti tra il 2018 e parte del 2019. Rimane il tema legato alla lista dei Paesi sicuri e alle procedure accelerate in frontiera. Sulla prima questione comprendo onestamente l’eventuale difficoltà dei ministri che hanno firmato quel decreto di rinnegare se stessi; un errore che dovremo trovare il modo di gestire nella maniera migliore. Le procedure accelerate, invece, sono davvero una scelta avventurosa. Se per un verso si tratta in concreto di una evidente lesione dei diritti, dall’altro non è stata, a mio avviso, considerata abbastanza l’inquietante conseguenza di trattenere nel nostro Paese, soprattutto nelle Regioni del Sud, altissimi numeri di persone la cui espulsione rimane solo un pezzo di carta chiamato “decreto”.  E allora facciamo a meno dell’inutile severità delle regole che guidano i rimpatri volontari assistiti; costruiamo opportunità per chi, deluso da un’aspettativa che non si è realizzata è disponibile a essere reintegrato nel proprio Paese. E allora sì che i numeri dei rimpatri potranno crescere e diventare importanti, assorbendo, almeno in parte, le tante situazioni di sconforto e di sconfitta che tutto questo fenomeno fisiologicamente determina.