Denunce per presunta malasanità e aggressioni: i medici hanno paura di curare

Dopo gli ultimi episodi di violenza nei confronti dei medici, il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato un decreto per aumentare le pene per gli aggressori. È la solita trita risposta per qualsiasi problema ci sia in Italia. Incapace di risolvere le questioni alla radice, la politica tenta la strada più veloce, quella che suscita un consenso immediato: mandare le persone in galera per il tempo più lungo possibile. In questo caso, poi, l’aumento delle pene suona particolarmente fastidioso e ipocrita perché se andiamo ad analizzare il fenomeno è evidente come la violenza nei confronti dei medici nasca dalla stessa cultura giustizialista che muove l’annunciato decreto: cioè si pretende di curare con la stessa causa del male.

L’aggressione nei confronti dei medici, ogni anno quantificabile in 3000 casi (dati della Croce Rossa), è l’altra faccia della medaglia che spinge i pazienti a denunciare chi li cura. Il cittadino, spinto da anni e anni di campagne stampa denigratorie, è convinto che la sanità italiana faccia schifo, che i medici non siano persone che possono sbagliare, ma delinquenti pronti, con dolo, a commettere crimini e a uccidere le persone. Il medico non è più considerato un referente di fiducia, ma un nemico da cui difendersi: o aggredendolo o denunciandolo.

I dati parlano chiaro. Ogni anno ci sono 35mila nuove denunce, mentre nei tribunali sono pendenti oltre 300mila cause, le quali si risolvono con un nulla di fatto nel 95 per cento dei casi nel penale e nel 70 per cento dei casi nel civile. Cioè i medici sono quasi sempre innocenti, ma è diffusa la convinzione del contrario e per difendersi, oltre a costossime assicurazioni, curano meno o troppo. È il fenomeno della “medicina difensiva” che si carattezza in due modi. Nel caso della medicina difensiva negativa il medico, per paura di azioni legali, evita di fare un intervento, di intraprendere una determinata cura, di esporsi a eventuali denunce. Ogni mese un medico su cinque fa scelte dettate da questo timore. C’è poi la medicina difensiva positiva, che solo apparentemente è un valore, perché costa 10 miliardi all’anno, pari allo 0,75% del prodotto interno lordo e al 10% della spesa sanitaria complessiva.

Il medico, sempre per paura di contenziosi, prescrive esami non necessari, terapie di cui si potrebbe fare a meno, accertamenti che, sa benissimo, sono un di più. Il 68,9% dei medici dispone il ricovero dei pazienti che ritiene gestibili ambulatorialmente. Il costo per la comunità è incredibile sia in termini di soldi sia in termini di salute: l’accanimento contro gli operatori del sistema sanitario italiano si traduce in un boomerang nei confronti dei cittadini che pagano di più e vengono curati meno bene. Verrebbe da dire: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Ma la causa qui è complessa e rientra in quella cultura populista e manettara che ha invaso ogni settore del sapere, della cultura e della politica. Bisogna cioè interrogarsi su come sia stato possibile che una delle migliori sanità al mondo sia diventata oggi così vulnerabile e percepita come una delle peggiori. La risposta la troviamo in anni e anni di campagne denigratorie portate avanti da giornali e tv. Certo che ci sono le cose che non funzionano, certo che ci sono sprechi, certo che esistono differenze tra regione e regione (differenze che la riforma costituzionale di Renzi appianava ma è stata bocciata) certo che… Ma se vai in ospedale non ti chiedono se sei ricco o povero, giallo o bianco. Ti curano. E ti curano nella maggior parte dei casi nei migliori dei modi.

Gridare allo scandalo enfatizzando i casi negativi o creando falsi allarmi, ha creato la percezione oggi diffusa di diffidenza se non di vera e propria rabbia nei confronti dei medici, che oggi sono una della categorie più odiate dal “popolo”. Di recente una pubblicità, per fortuna poi esclusa dalle reti Rai dopo le proteste, invitava i pazienti a denunciare anche molti anni dopo, facendo intendere che tutti o quasi siamo stati vittime di malasanità. L’informazione ha soffiato sul fuoco, tacendo sugli aspetti e i dati positivi, oppure raccontando male i casi eclatanti come il processo al chirurgo di Milano Pier Paolo Brega Massone, descritto come un mostro quando invece un mostro non era.

La sentenza dell’appello bis ha operato una riqualificazione del reato, da omicidio doloso a omicidio preterintenzionale, passando dalla condanna all’ergastolo a quindici anni di carcere. Restano però ancora dei dubbi sulla sua colpevolezza e anche questa sentenza risente dei vizi del clamore mediatico. Ma per l’opinione pubblica non ci sono dubbi: il marchio è impresso su di lui indelebile.
Brega Massone è solo uno dei tanti casi che segnalano una situazione pesante, pericolosa, che non può certo essere risolta con l’aumento delle pene per chi aggredisce i medici.

Nella migliore delle ipotesi non serve a nulla, nella peggiore non fa altro che alimentare la cultura giustizialista che ha portato al disastro. Ripartiamo da qui, contrastando la cultura della presunzione di colpevolezza che colpisce tutto e tutti, con gravi conseguenze. Qui ancora più gravi, perché, a rischio, c’è la nostra stessa vita.