Discriminazioni sociali, se la battaglia per i diritti finisce per ignorarli…

Il solenne principio dettato dall’articolo 3 della Costituzione, secondo cui «tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», è quello, specie negli ultimi anni, di maggiore interesse nel dibattito pubblico atteso che è divenuto il leit motiv di precise esigenze di carattere politico, in particolar modo in costanza di competizioni elettorali, o del verificarsi di taluni eventi che determinano un trend nell’opinione pubblica che si traduce, poi, in consenso. Ecco, dunque, uno dei lati oscuri e tristi della politica la quale, anziché dare vita al secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione secondo cui, è «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale», pare invece marciare in opposta direzione contravvenendo a tale imperativo.

Appare necessario, dunque, che al dibattito partecipino sempre più diversi interlocutori, tra cui l’avvocatura, e in particolar modo quella partenopea, come avvenuto in un recente convegno avente ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali e la lotta alle discriminazioni. Questo contributo è necessario affinché ci si esprima non solo fornendo opinioni, pareri e riflessioni di natura tecnica ma anche apporti diversi, atteso il ruolo attivo che i legali svolgono in ogni ambito del tessuto sociale e che li rende conoscitori privilegiati di quanto avviene anche a livello locale. I primi servono indubbiamente per stabilire cosa, in concreto, si debba considerare discriminatorio e lesivo di libertà fondamentali per non incorrere, in sede di legiferazione, in strumenti normativi che non rispondano ai principi cristallizzati nella Carta costituzionale.

Il secondo, invece, consente di “vigilare” sui territori affinché vengano individuate e segnalate le sperequazioni tra cittadini e le limitazioni al pieno sviluppo della persona umana. Quest’ultimo aspetto pone tanti interrogativi. Quanto è stato fatto ad oggi nella nostra città, senza considerare l’intervento di privati che quotidianamente prestano assistenza alle fasce deboli della popolazione, per porre fine o comunque limitare le discriminazioni? Quanto incide concretamente la politica locale sulla elisione delle sperequazioni tra cittadini di uno stesso grande territorio frazionato, però, da muri invisibili che tengono in vita tante realtà complesse e divisive. Chi amministra, dunque, deve affrontare sì i principali argomenti in tema di discriminazioni, che spesso riguardano fasce limitate di individui, ma non deve dimenticare che esistono obiettivi primari da raggiungere e che si riferiscono a grandissime porzioni di popolazione vittime, ancor oggi, di un mancato livellamento sociale.

Purtroppo pare che, invece, sia più conveniente mantenere in vita il dibattito su temi più generici, sicuramente più gradevoli da discutere sui media e nei salotti e la cui finalità è quella di determinare la misura e lo spostamento del consenso. Temi che, spesso, assurgono strumentalmente a cavallo di battaglia di questa o quella compagine politica al punto che, soprattutto in ambito di libertà di opinione, tendono a far proliferare ulteriori discriminazioni.