Il ripristino della festa nazionale del 4 ottobre, giorno in cui ricorre la memoria di san Francesco d’Assisi, è stata l’occasione per tornare a parlare di un santo che a distanza di secoli non cessa di affascinare. E molto ancora se ne parlerà nei prossimi mesi, man mano che ci si avvicinerà alla ricorrenza dell’ottavo centenario della morte (3 ottobre 2026). Restano ancora, tuttavia, alcune questioni da risolvere. Ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato la legge che istituisce la nuova festività, esigendo però delle modifiche. Il 4 ottobre, infatti, è già considerato una solennità civile in onore di santa Caterina da Siena, patrona d’Italia. Il Parlamento, pertanto, su consiglio del Capo di Stato, dovrà fare una scelta, riformulando un testo legislativo chiaro e privo di ambiguità.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Bisogna infatti fare attenzione a distinguere il san Francesco vero da quello posticcio di certa agiografia frou-frou che, a seconda delle circostanze, ne fa l’icona dell’ambientalismo, dell’animalismo e del pacifismo; ma anche del dialogo e dell’”inclusività”. Un esempio di tale narrazione a dir poco sbilenca è un recente articolo apparso sul Corriere della Sera a firma di padre Enzo Fortunato, già direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi. L’occasione era l’annuale celebrazione del patrono d’Italia, che quest’anno ha visto la presenza in Assisi della premier Giorgia Meloni. Fulcro della riflessione di p. Fortunato, la contrapposizione tra i crociati e s. Francesco, rappresentante del Dna e dell’anima italiana “bella, buona e inclusiva” in quanto “pronta ad accogliere e aprirsi a tutti”. O, come sottolinea di nuovo papa Leone, a «tutti, tutti, tutti»” (notare il richiamo di uno dei mantra di papa Bergoglio).
I crociati sono quelli di ieri, rispetto ai quali egli “non ha mai vissuto la fede come bandiera da difendere o arma da brandire, ma come incontro e dialogo. È partito per l’Oriente non per combattere, ma per conoscere. Ha attraversato i mari fino a Damietta per incontrare il sultano Malik al-Kamil: non un nemico, ma un fratello davanti a Dio”. Ma anche quelli di oggi: “Francesco non ha mai trasformato la croce di Cristo in un’arma da scagliare, né avrebbe mai usato un linguaggio violento (fosse pure su un social, diremmo oggi) per difendere la propria fede” (insomma, non era certo un Charlie Kirk). Il contrasto non potrebbe essere più netto: di qua il s. Francesco del “pace e bene”; di là la spada dei crociati antichi e nuovi, e poco importa se fatta di ferro o di parole. Da una parte, un atteggiamento aperto e dialogante che vede nell’altro un fratello; dall’altra, un atteggiamento chiuso e guerresco che vede nell’altro un nemico da abbattere, e così via. Intendiamoci, rappresentazione più che legittima, ci mancherebbe. Peccato solo che faccia a sportellate con la realtà. A partire dal significato di quel famoso incontro tra il santo e il sultano d’Egitto Malik al-Kamil, da sempre portato (a torto) come esempio, appunto, di dialogo.
In realtà, le cose andarono diversamente da come vengono comunemente raccontate, come sa bene chiunque conosca anche superficialmente i documenti più autorevoli sulla vita del santo (insieme ovviamente alla vera storia delle Crociate). E siccome a scrivere l’articolo in questione è stato un francescano, delle due l’una: o Fortunato non conosce i documenti; o li conosce e, ciò nonostante, fa finta che dicano altro, dipingendo un s. Francesco immaginario (e con lui una fede e un cristianesimo immaginari). A noi qui interessa rimettere i fatti nella giusta prospettiva. S. Francesco partecipò, naturalmente da religioso e non come cavaliere, alla quinta crociata che si svolse dal 1217 al 1221. Il santo arrivò a Damietta, in Egitto, nell’agosto del 1219, e restò nell’accampamento crociato fino a novembre di quell’anno.
Fu durante quelle settimane che ebbe luogo l’incontro con il sultano Malik al-Kamil. Domandiamoci ora: quali erano le reali intenzioni del santo? S. Francesco non si recò dal sultano così, tanto per scambiare due chiacchiere sulle reciproche fedi mosso da una chissà quale sete di conoscenza, ma per annunciargli il Vangelo (a lui come a tutti i saraceni che incontrò sul suo cammino), fedelmente a quella che è la missione di ogni cristiano. Leggere per credere la Legenda maior di s. Bonaventura da Bagnoregio, risalente al 1260 (dunque non molto lontana dai fatti): “Quando quel principe (il sultano) domandò loro da chi erano stati inviati, a quale scopo, con quale titolo ed in qual modo erano giunti sin lì, il servo di Dio Francesco, con intrepido coraggio, rispose che non da uomo, ma dall’altissimo Iddio era stato inviato, per mostrare, a lui e al suo popolo, la via della salvezza ed annunziare loro le verità del Vangelo. E predicò davanti al Sultano, annunziando la verità dell’Unità e Trinità di Dio e Gesù Cristo Salvatore del mondo, e lo fece con tanto coraggio, con tanta fortezza d’animo e fervore di spirito, da dimostrare luminosamente come in lui si adempiva interamente la verità di quel detto evangelico: «Io stesso darò a voi un linguaggio e una sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno né resistere né contraddire»”.
Come si vede, un “dialogo” che restituisce un’immagine di s. Francesco distante anni luce non solo dal ritratto che ne ha fatto p. Fortunato, ma più in generale da una narrazione sentimental-romantica che lo ha elevato ad emblema di una santità sdolcinata, buona, inclusiva, educata, tollerante. In una parola: politicamente corretta. Anche no, grazie. Di una santità simile il mondo non sa che farsene; “il buon Dio – dice Bernanos – non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale… Il sale, sulla carne viva, brucia. E tuttavia le impedisce di marcire”. Anziché continuare ad essere miele per il mondo, dicendo ciò che il mondo vuole sentirsi dire anche a costo di dire ciò che non piace a Dio, è tempo che i cattolici tornino ad essere sale, e sale che brucia sulla pelle, dicendo al mondo ciò che piace a Dio anche se ciò che dicono non piace al mondo. Esattamente come sta facendo Leone XIV.
