Nel mondo della scuola ci sono le cose che interessano agli adulti (si tratta quasi sempre di premure ideologiche) e quelle che riguardano la vita concreta dei ragazzi. Nel dibattito pubblico si sente parlare quasi solo delle prime. Che l’esame conclusivo dei cicli scolastici si chiami Esame di Stato o Esame di Maturità, ovviamente, interessa solo ai grandi; che una certa attività si debba chiamare Pcto o Formazione scuola-lavoro, anche questo attiene sempre e solo alle storiche diatribe ideologiche degli adulti, e persino la nuova struttura dell’Esame di Stato (che passa ora a quattro materie per l’orale senza più l’astruso argomento iniziale), strappa il sonno a noi e alle nostre narrative sull’esame come rito di passaggio, molto meno ai ragazzi, che molto spesso, già dall’inizio del quinto anno, hanno la testa immersa nei test di accesso alle università.
Le novità del DL 127/2005
Quelle accennate sono alcune delle novità emerse nel Consiglio dei Ministri del 4 settembre scorso sul pacchetto scuola, poi formalizzate con il Decreto Legge n.127 del 9 settembre 2025. Sono quelle di cui si è sentito parlare di più. In quella stessa riunione c’è stata però anche un’altra novità passata sotto silenzio tra i commentatori, proprio quella (ça va sans dire) che a nostro giudizio impatta più di tutte sulla vita reale dei ragazzi, sul loro benessere psico-fisico e sul loro cammino formativo.
Il passaggio da una scuola all’altra
Si tratta delle cosiddette “passerelle”, ovvero i passaggi tra indirizzi scolastici diversi, che nel corso del biennio delle superiori potranno avvenire, con richiesta entro il 31 gennaio, senza l’obbligo di un esame di passaggio – è questa la novità – e senza elementi di particolare rigidità, a meno che le scuole non vogliano complicare ciò che il legislatore adesso semplifica. L’esame integrativo resta obbligatorio solo per il triennio. Il Cdm ha infatti recepito la sentenza n.3250/2024 del Consiglio di Stato, che ha ritenuto illegittimo l’obbligo generalizzato dell’esame, sottolineando che la scelta del percorso non può “cristallizzarsi” in adolescenza e che l’accesso al nuovo indirizzo va gestito senza barriere sproporzionate. Le istituzioni scolastiche della nuova scelta, secondo i principi dell’autonomia, dovranno ora valutare i casi, riconoscere i crediti e programmare azioni di riallineamento (lezioni integrative, sostegno, verifiche) in tempi e modi flessibili, evitando che tutto si riduca a una prova unica e decisiva potenzialmente stressante.
La scelta di chi si sente fuori posto
Perché riteniamo questa la novità più importante? Perché, da insegnanti, osserviamo quotidianamente la frustrazione dei ragazzi che nel corso dell’anno si accorgono di aver sbagliato indirizzo per una scelta improvvida fatta a dodici anni. Ogni giorno osserviamo il disagio di chi si sente fuori posto con il ritmo di una classe o di un certo indirizzo, e si accorge che potrebbe integrarsi ed esprimersi maggiormente in un contesto per lui più accessibile (o viceversa), ma si ritrova ingabbiato in una sorta di condanna legata alla difficoltà di recupero delle discipline non presenti nel vecchio indirizzo. Non c’è bisogno di essere insegnanti, poi, per notare che le attitudini di ciascuno si comprendono in modo più consapevole tra i 14 e i 15 anni che tra i 12 e i 13. Il biennio delle superiori può e deve rappresentare l’opportunità, concreta e soprattutto agile, di rivedere la propria scelta.
Una prova necessaria per il triennio
Sempre nella stessa ottica di buonsenso è da condividere la scelta, riaffermata nel Dl 127, di mantenere l’esame per il triennio, dove il livello di differenziazione disciplinare è maggiore tra i diversi indirizzi, così come è più matura la consapevolezza di scelta degli studenti. Il percorso scolastico, come tutte le esperienze umane, è più funzionale quanto meno si configura come monolite senza scampo e quanto più si apre a una flessibilità sensata per il percorso di chi apprende. Non deve però sfuggire un rischio da scongiurare con questo snellimento: bisognerà combattere l’abitudine ai passaggi scelti per comodità, scongiurando l’idea, diseducativa, del cambio di percorso come fuga facile dalle responsabilità e dalle sfide.
È un compito educativo importante che chiama in causa il lavoro di dialogo e discernimento dei docenti e le nuove figure degli orientatori introdotte da questo Governo (una buona idea purtroppo affidata non a personale specializzato ma al desiderio di un arrotondamento di docenti già stanchi per il lavoro curricolare). Anche la flessibilità, valore in sé indiscutibile e tanto più vitale per l’ingessata scuola italiana, va trattata con cautela e soprattutto va educata con principi di buonsenso.
