Don Mazzi: “Più dialogo, meno interrogazioni, la scuola deve ascoltare i giovani. Milano costa molto e rischia di perdere i suoi figli”

DON ANTONIO MAZZI

Don Antonio Mazzi, fondatore delle comunità Exodus e dei Centri Giovanili, da 40 anni attento osservatore delle nuove generazioni e delle loro criticità – riflette sul rapporto tra la metropoli e i giovani: «La città dei grattacieli deve chiedersi se stia perdendo la sua anima educativa. I ragazzi soffrono non solo per i costi, ma perché non si sentono parte del progetto di città». E lancia un appello: «Dovremmo trovare l’umiltà di ascoltarci, Milano riparta dai suoi ragazzi».

L’inizio della scuola rappresenta sempre un momento di aspettative e progetti. Eppure, osservando i ragazzi di oggi, sembra che il patto educativo tra generazioni si sia in qualche modo incrinato…
«Il problema della scuola, prima di essere il problema dei ragazzi, è il problema della scuola stessa. Questa domanda ce l’hanno le insegnanti in testa? Ce l’ha chi amministra in testa? Perché se non ce l’ha la politica, se non ce l’ha chi insegna, cosa vogliamo pretendere dai ragazzi? Manca il fascino dell’adulto nella scuola. Forse c’è qualche tipo di scuola che tenta di trasformare l’eccellenza in qualcosa di autenticamente scolastico, ma le altre tirano a campare, tirano a “fare il programma”. Se ci si accontenta di questo chiaro che non si aiuteranno mai i ragazzi a maturarsi».

Nel suo lavoro con i giovani, lei ha sempre sottolineato l’importanza della dimensione relazionale. In una scuola sempre più digitale e performativa, cosa cercano davvero i ragazzi milanesi…
«Sarebbe opportuno parlare molto di relazioni. I nostri ragazzi hanno bisogno di relazioni autentiche, più che di informazioni. Le due sono strade molto diverse. Per impostare relazioni, l’insegnante deve essere molto preparato nel modo di parlare, nel modo di essere, nel modo di rapportarsi. Deve avere una grande maturità. Mi pare che la scuola italiana oggi sia incardinata su interrogazioni, verifiche, un sistema che lascia ben poco nel cuore dei ragazzi».

Milano si è trasformata profondamente, è diventata una metropoli internazionale, attrattiva, dinamica. Eppure molti giovani, soprattutto studenti, sembrano faticare a trovare il loro spazio in questa città che pure offre tanto…
«Di Milano e delle sue contraddizioni si fa un gran parlare, ma c’è poca sintesi. I fatti sono che La Milano di oggi costa molto e finisce per essere respingente per gli stessi studenti che continuano a sceglierla. Io non so dire se chi la abita, ami Milano. Una Milano che rischia di perdere i suoi figli può essere contenta? Milano deve interrogarsi su questo, e per prima deve farlo la politica milanese».

La città dei grattacieli, della finanza, dell’innovazione che deve anche essere la città dell’educazione e dell’inclusione sociale. Come può Milano coniugare sviluppo economico e attenzione ai giovani?
«La Milano dei grattacieli e dei nuovi quartieri non deve nascondersi i problemi. È giustamente una città contenta di essere stimata nel mondo. Ma non deve confondere le persone che la riempiono per i tanti eventi per le attrazioni con quelle che la devono vivere. Milano può essere molto di più di ciò che oggi è».

Lei ha sempre lavorato nelle periferie, quei luoghi che oggi sembrano vivere una nuova stagione di trasformazione urbana e sociale. Le periferie milanesi stanno cambiando volto…
«Io amo particolarmente la città delle periferie, per certi versi più che la città del centro. Credo che Milano nelle periferie riesca a mantenere tante autenticità. C’è una vitalità, una genuinità che va valorizzata, senza necessariamente cercare di far somigliare le periferie al centro».

I ragazzi di oggi sembrano vivere in una condizione di sospensione, tra grandi opportunità e profonda incertezza. Lei che li incontra quotidianamente, cosa percepisce nei loro bisogni più profondi…
«Certamente non sono soddisfatti. Fuggono da loro stessi più che dai problemi della città. Non si sentono sempre accettati. Noi adulti e loro siamo due mondi che devono conoscersi meglio. Dovremmo avere il coraggio di trovare quell’umiltà sufficiente per ascoltarci. Non per capirci subito, perché questo è il risultato finale non così semplice da ottenere, ma intanto per ascoltarci. Sarebbe un primo momento importante. Poi si spera che dall’ascolto arrivi la comprensione».

Milano si trova quindi a un bivio importante, tra la sua vocazione internazionale e la necessità di non perdere la sua anima educativa e sociale. Come conciliare i due percorsi?
«Sono sempre stato l’uomo della speranza, ho sempre creduto che prima o poi il bene trionfa. Anche questa volta Milano saprà tirar fuori il meglio. Adesso siamo sul filo del rasoio, ma anche il filo del rasoio può diventare un’opportunità: si capisce che è necessario concentrassi per non cadere dal lato sbagliato».

Un messaggio finale per la città, per chi la amministra, per chi lavora con i giovani…
«Innanzitutto gli stessi giovani devono amarsi di più, devono ritrovare fiducia. Dentro hanno un sacco di qualità. E noi dobbiamo aiutarli a tirar fuori tutto il bello. Io sono convinto che Milano sia ancora una città ricchissima di tutto, ricca fuori, ma anche dentro. Proprio pensando ai suoi ragazzi deve trovare lo spirito e i progetti per esprime il meglio di sé».