La vicenda della puntata di Presa Diretta con Nicola Gratteri, sollevata dal Riformista, scuote la Rai. La trasmissione di Riccardo Iacona dedicata all’inchiesta Rinascita-Scott ha messo in luce le tesi dell’accusa senza offrire un adeguato – e paritetico – spazio alla difesa, puntando l’indice su soggetti assenti e dunque indifesi. L’Unione delle Camere penali ha emesso un comunicato molto duro, stigmatizzando l’accaduto e invitando la Rai ad intervenire. All’appello del direttore Sansonetti al Presidente Marcello Foa non è pervenuta risposta. Tutti i dirigenti da noi interpellati hanno declinato l’invito ad esprimersi. A tarda serata si era invece incaricato della difesa l’Ad Fabrizio Salini, che il Cencelli in uso al momento della sua nomina, per chiamare le cose con il loro nome, dipingeva come tecnico di area Cinque Stelle.
«Presa diretta da anni fa giornalismo d’inchiesta di alto livello e di qualità, da tutti riconosciuto e apprezzato. Non è mai stato uno spazio in cui si pronunciano sentenze o si spettacolarizzano i processi anticipandone le conclusioni: non è questa, né lo è mai stata, la vocazione di Presa diretta. Al contrario, ha sempre informato il pubblico con scrupolo, rigore e oggettività». I penalisti italiani non la pensano così: «Si è trattato di una pagina di desolante inciviltà scritta dal servizio pubblico radiotelevisivo», aggiungendo che è «semplicemente inaudito che proprio dagli schermi del servizio pubblico della informazione milioni di cittadini abbiano dovuto assistere alla unilaterale ed arbitraria selezione di atti del fascicolo del pubblico ministero di Catanzaro, relativi ad una vicenda giudiziaria il cui dibattimento ha cominciato solo da qualche settimana a muovere i suoi primi passi». E ieri una componente di grande peso tra le toghe come Magistratura Democratica ha fatto sapere da che parte sta: la testata Questione Giustizia si dice allarmata dal processo televisivo anticipato. «Dovrebbe allarmare tutti, che, proprio alla vigilia di un delicatissimo processo, si ritenga normale che il pubblico ministero partecipi, in veste di protagonista assoluto al processo mediatico-televisivo che precede e affianca quello che s’avvia nell’aula bunker».
E allarmato è anche il sindaco di Rende, Cosenza, Marcello Manna, indebitamente chiamato in causa dalla trasmissione, che ha scritto una lettera al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, al direttore di Rai3 Franco Di Mare, al presidente e ai componenti della commissione di Vigilanza Rai e dell’Agcom. Nell’istanza il primo cittadino calabrese sottolinea: «È assolutamente inopportuno trattare fatti che sono contestualmente oggetto di un processo in corso. È corretto e rispettoso della dignità costituzionale – scrive Manna – far passare un fatto ipotizzato dalla Procura come una verità accertata? In un qualunque paese civile la risposta sarebbe negativa. Ma non qui». La reazione fumigginosa dei vertici Rai non arriva per caso. E le diverse posizioni registrate sul caso Iacona tornano utili per analizzare gli ultimi fotogrammi della gestione Salini-Foa a viale Mazzini. Una gestione sulla quale, con la rapsodia cui ci aveva abituato, anche lo stesso Pd durante il governo Conte aveva più volte parlato di un necessario ricambio. L’aria che si respira all’ombra del Cavallo scolpito da Francesco Messina, detto da sempre Cavallo morente, è in effetti quella di fine Impero. Del rompete le righe generale, o forse oltre: del Si salvi chi può.
In Commissione di vigilanza Rai lo scorso mercoledì si è sfiorata la rissa. La maggioranza che ha voluto gli attuali vertici, quella gialloverde, non esiste più da due governi. Eppure l’architrave della più grande azienda culturale europea, come ama definirsi la Rai, si regge su Marcello Foa, voluto dalla Lega, e Salini in quota M5S. Poi il centrodestra, più abile nel fare scouting, ha esteso le sue ramificazioni e protetto posizioni strategiche, andando anche a crearne di nuove. Adesso i Presidenti di Camera e Senato devono pubblicare il bando per la presentazione dei curricula. Poi ci sono trenta giorni di tempo per candidarsi a fare il Consigliere d’amministrazione. Entro il 30 aprile va approvato il bilancio, che poi l’assemblea dei soci deve ratificare: a maggio, teoricamente, dovrebbe esserci una nuova governance.
Tocca al governo Draghi assumere l’iniziativa, dopo che l’avranno assunta i due presidenti delle Camere. Se in commissione di vigilanza volano gli stracci è perché la maggioranza d’antan va con il freno a mano tirato. E lo tirano più Fratelli d’Italia e Cinque Stelle che la Lega; l’asse che fa melina prova a calciare la palla in tribuna per ottenere una proroga fino a Natale. Sul piatto potrebbe arrivare una polpetta avvelenata: un congelamento nella prospettiva di una ulteriore legge di riforma Rai che cambierebbe le regole volute dalla riforma Renzi del 2015. Una ipotesi che vede insieme protagonisti Salini e Giampaolo Rossi, il consigliere Rai in quota Fdi, ma sulla quale adesso dovranno fare i conti con il governo Draghi.
L’azionista di maggioranza è il Tesoro. E Daniele Franco, rispetto al vecchio Cencelli, ha tutta l’aria di voler voltare pagina. Può dare indicazioni di rottura rispetto a Ad e Presidente, e decidere per esempio di non tenere più la figura del Direttore generale, altro orpello di recente ingresso tra i ranghi. Un riassetto delle competenze e una ventata di nomi nuovi (si invoca da più parti una donna ai vertici) potrebbe incidere finalmente anche sull’orientamento sperticatamente giustizialista di certi palinsesti e riequilibrare la governance Rai con l’indirizzo di un governo laicamente garantista.
