Dorothy Day, l’amicizia sociale per i più poveri

Il Meeting di Rimini di quest’anno ha nel ciclo di incontri dedicati alle “amicizie inesauribili” una delle sue possibili e più suggestive chiavi di lettura. Quattro momenti dedicati ad altrettante personalità che sanno ancora oggi, a distanza di anni, esserci testimoni di fede e pertanto amici.

Accanto a Don Lorenzo Milani, Takashi Nagai e Don Pino Puglisi, domenica 20 agosto aprirà questo ciclo di incontri la figura di Dorothy Day, forse quella per il momento meno nota al pubblico italiano e che invece risulta particolarmente attuale per i tempi che stiamo vivendo.

Basti un primo dato per ribaltare questa nostra affrettata e iniziale possibile impressione.

Nel 2015, nel corso della sua visita al Congresso degli Stati Uniti d’America, Papa Francesco nell’indicare a tutto il mondo quattro esempi di personalità eccezionali della storia americana, accanto a veri e propri “giganti” come Abraham Lincoln, Martin Luther King e Thomas Merton, ha voluto inserire proprio Dorothy Day per il “suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e per la causa degli oppressi”, sempre “ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi”.

Ma chi è stata Dorothy Day (1897-1980)? Difficile darne una definizione univoca e sintetica. Giornalista, scrittrice, attivista per i diritti sociali, convertita al cattolicesimo.

È una donna del nostro tempo che vive drammi a noi contemporanei (un aborto, la separazione dall’uomo che amava, la fatica di crescere da sola una figlia). La sua personalità è certamente eclettica ed estroversa; la caratterizza una profonda inquietudine esistenziale e un impegno sociale che segnerà tutta la sua esistenza e che la porterà a fondare nel 1933 a New York, insieme a Peter Maurin, il Catholic Worker Movement, in favore dei diritti dei lavoratori, dei poveri e dei disoccupati.

Scopo del movimento, accanto all’assistenza materiale (aprire case di ospitalità, fornire pasti caldi e sostenere nelle battaglie sindacali i lavoratori/disoccupati di una America segnata dalla grande depressione) vi era la volontà di far conoscere anche a loro i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa. Dorothy ritiene, insomma, che l’incontro con Gesù vivo spinga all’impegno con e per i poveri, fino a condividere la loro stessa povertà.

Una fede che ha piena voce in capitolo per comprendere, affrontare i problemi e cambiare – in meglio – la società. Qui ed ora, nelle condizioni date. È una fede presa sul serio, che fa considerare il prossimo – qualunque sia – come fratello e sorella e che si traduce innanzitutto nelle tradizionali opere di misericordia – dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire gli ignudi, insegnare agli ignoranti – vissute dentro il tumultuoso contesto del mondo contemporaneo e che la rendono un testimone privilegiato di quella Chiesa in uscita e di quella opzione per i poveri tanto care a Papa Francesco. Un cristianesimo dunque che si fa opere e si mette al servizio del popolo, senza freni o compromessi, non per seguire un’ideologia, ma sotto l’impatto travolgente, e grato, della conversione.

La rivoluzione ricercata da Dorothy, dunque, è un cambiamento dei cuori che nasce dalla fede e che genera quella dinamica dell’amore che, unica, supera il tempo e lo spazio.

Riscoprire oggi la figura di Dorothy Day – già dichiarata serva di Dio nel 2000 e la cui fase diocesana del processo di beatificazione è stata dichiarata conclusa l’8 dicembre 2021 dal cardinale di New York Timothy Dolan – è quindi un invito a interrogarsi sul perché valga la pena ancora oggi vivere per un ideale, piangere e amare, gioire e soffrire, costruire qualcosa di buono per sé e per gli altri, a partire dai più poveri e dagli emarginati, lasciandosi sempre guidare dalla scoperta della fede, unica dinamica dell’amore che genera quella povertà volontaria, quel coraggio, quell’umiltà e quella carità di cui tutti, in fondo, avvertiamo il bisogno e un recondito desiderio.