Dragan Dilas, l’opposizione in Serbia al presidente Vučić

In Serbia il vento politico sembra tirare da una parte sola. Da quella di Aleksandr Vučić, Presidente della Serbia dal 2017 (e dal 2014 al 2017 suo primo ministro). Anche se da tempo lo vediamo in televisione letteralmente ogni sera, il presidente serbo non è l’unico politico nel Paese. L’opposizione è debole, ma c’è. Lo si vede soprattutto in queste settimane, in cui ci sono molteplici manifestazioni contro il governo. E oggi voglio raccontare la storia di uno degli oppositori più conosciuti, presidente del Partito libertà e giustizia (Ssp) ed ex sindaco di Belgrado, Dragan Đilas. Nato il 22 febbraio 1967, è un uomo d’affari e politico serbo che è stato sindaco di Belgrado dal 2008 al 2013. In precedenza è stato per un anno ministro senza portafoglio incaricato del Piano nazionale di investimenti nel Consiglio dei ministri e dopo per due anni presidente del Partito Democratico (DS), il principale partito di opposizione della Serbia, Ha quindi un’esperienza politica solida e concreta, in più funzioni e a livelli di governo diversi.

Đilas ha lasciato il Partito Democratico nell’aprile 2016. Ha continuato la sua carriera politica, candidandosi alle elezioni dell’Assemblea cittadina di Belgrado del 2018, prima di annunciare in seguito una nuova alleanza politica di opposizione, l’Alleanza per la Serbia. Nel 2019 è stato eletto presidente del neonato Partito della Libertà e della Giustizia (SSP), che alle elezioni dell’aprile 2022 ha ottenuto il 13% dei voti, diventando subito la seconda forza in parlamento. Tuttavia, è stato anche molto criticato per aver incontrato il presidente Vučić nel 2022, in merito a un’elezione inconcludente nella capitale Belgrado. Đilas ha detto di aver proposto a Vučić una nuova corsa a Belgrado e che il presidente ha detto che avrebbe risposto entro la fine dell’anno. Altri esponenti dell’opposizione, sia all’interno che all’esterno di United for Serbia, hanno criticato Đjilas per aver incontrato Vučić senza prima consultarli o aspettare i risultati ufficiali definitivi delle elezioni di Belgrado. Đjilas ha sottolineato che aveva partecipato solo come rappresentante del suo partito.

Ha più volte sottolineato la difficoltà nel fare vera opposizione in Serbia, ribadendo che il governo ha degli intrecci talmente forti con i media nazionali e locali, che l’indipendenza della stampa non è affatto garantita, e questo influisce anche su come l’opposizione viene rappresentata. Oltretutto, i cittadini non ricevono tutte le informazioni che sarebbero cruciali per poter rappresentare la realtà della politica serba. Riguardo alla politica di Vučić, Đilas critica l’approccio del presidente che vuole accontentare tutte le parti, barcamenandosi fra la Russia che occupa una posizione speciale per la Serbia “perché non li ha mai bombardati”, e, allo stesso tempo, l’Occidente che rimane importante per la Serbia a causa delle relazioni economiche. Una posizione di politica estera molto instabile, che rischia di sbriciolarsi, quando si dovrà necessariamente effettuare una scelta.

Đilas ha inoltre una posizione molto chiara per quanto riguarda il rapporto tra Serbia e Kosovo. Secondo lui, la soluzione non è “la spartizione, ma la riconciliazione“, e il Kosovo appartiene sia ai serbi che agli albanesi (ndr: c’è comunque da ricordare che gli albanesi sono il 90% della popolazione, i serbi circa 100.000, il 5%). Nel settembre 2019, Đilas ha dichiarato ai media che il piano del suo partito per il processo di riconciliazione tra serbi e albanesi in Kosovo prevedeva che le persone che hanno commesso crimini di guerra o che hanno incitato a commetterli non possano prendervi parte; tuttavia, nell’ottobre 2019 ha affermato che “non firmerei mai un accordo che riconosca l’indipendenza del Kosovo, che è contro le nostre leggi, il diritto internazionale e contrario a concetti come la moralità e la parte in cui ancora credo”. Posizione in contrasto con quella Corte di Giustizia internazionale che nel 2010 ha affermato che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non viola il diritto internazionale. L’opposizione serba però, invece di semplicemente non accettare l’indipendenza del Kosovo, potrebbe usare l’argomento di una riforma costituzionale lunga e difficile come giustificazione seria. O almeno cercare di trovare una modalità per riconoscere il Kosovo de facto, anche se non de jure (come ha fatto la Germania dell’Ovest con la Germania dell’Est).

Alla domanda se l’adesione della Serbia alla NATO avrebbe accelerato la sua adesione all’UE, Đilas ha dichiarato che la Serbia è stata “distrutta nei bombardamenti della NATO“, che “migliaia di persone sono state uccise” e che per questo è “inutile” parlare di questo argomento, aggiungendo che la Serbia dovrebbe cooperare con la NATO, “cosa che facciamo da molto tempo per la sicurezza di tutti coloro che vivono in questa parte d’Europa”, ma che l’adesione della Serbia alla NATO “non è davvero un argomento.” Tuttavia, per Đilas l’idea che la Serbia possa chiedere un risarcimento ai Paesi della NATO per i bombardamenti del 1999 è “infondata”, nonostante all’epoca siano stati inflitti danni “enormi” alla Serbia. Queste dichiarazioni fanno capire che anche l’opposizione serba tende, in realtà, a concepire la storia in maniera distorta per quanto riguarda fatti: nel 1999 la NATO è intervenuta con una campagna aerea per impedire un genocidio, pulizie etniche e massacri vari in Kosovo, dopo le guerre cominciate dalla Serbia in Bosnia-Erzegovina e Croazia (1992-95). Questa narrativa per cui la NATO è il male, ha commesso un atto criminale di cui è vittima la Serbia ed è colpa della NATO se la Serbia ha perso la propria influenza, è una narrativa che giova soltanto a rafforzare il nazionalismo e Vučić ed il suo governo. Per quanto Dragan Đilas abbia delle opinioni più moderate e cerchi davvero di rendere la Serbia più democratica, ha comunque una visione della storia parziale o distorta.

Uno dei problemi dei Balcani è proprio il modo di vivere troppo nella storia e non si focalizzano abbastanza sul futuro. Per questo servirebbe un approccio che punti a riconoscere le proprie responsabilità cambiando metodo per il futuro evitando nazionalismi e vittimismo, attraverso il riconoscimento degli errori del passato. Perché è vero che, nonostante la Serbia sia il paese più sviluppato dei Balcani, il salario medio è comunque molto basso e soprattutto i giovani non credono di aver un futuro. È anche vero che attualmente la Serbia ha il più basso livello di sostegno all’adesione UE, la conseguenza, almeno in parte, di quasi un decennio sotto Vučić. E Đilas sottolinea che pure “la gente che è contro Vučić pensa che l’UE e l’Occidente abbiano dato luce verde a Vučić per fare quello che vuole negli ultimi sette anni”. E come dargli torto, almeno in parte, quando mancano ancora delle misure serie nei confronti della Serbia per sanzionare la politica “equilibrista” del Presidente Vučić. L’opposizione serba ha ancora tanta strada da fare, e tanti fatti storici da rivedere. Ma sicuramente è una parte importante della vita politica serba e andrebbe rafforzata maggiormente per non lasciare spazio libero a Vučić per fare quello che vuole.