UE
Draghi sussurra l’apocalisse all’orecchio di Bruxelles
È il suo nuovo whatever it takes. Ma questa volta Mario Draghi non affronta un semplice virus. Mira alla pandemia della libertà. È lei ad essere gravemente malata, e nessuno sembra capirlo. Draghi non alza mai la voce. Ma a Bruxelles sussurra l’apocalisse: il nostro modello di crescita sta svanendo, e con lui rischiamo di perdere la nostra sovranità. Non saremo più arbitri del nostro destino, insomma. E sarà colpa nostra. Perché la pandemia della libertà arriva quando questa diventa scusa per non decidere, scudo per non cambiare. La libertà malata significa, in pratica, compiacersi delle proprie dipendenze strategiche. E anzi, rincara Draghi, far passare la divisione e la lentezza delle decisioni come valore fondante, come rispetto dello Stato di diritto. Mentre i cittadini sono alla finestra. Sempre più delusi, sempre più lontani.
Draghi cambia volto
Il super-Mario di un tempo ha cambiato volto. Oggi si presenta come un banchiere in camice bianco che esorta non più a preservare l’euro, ma a salvare il diritto degli europei a non avere paura. “Non siamo oggi in grado di difenderci”, diceva pochi giorni fa il ministro Crosetto, pensando ad un attacco militare. Draghi allarga lo sguardo. Non potremo difenderci finché non infrangeremo la paralisi del possibile, finché non la finiremo di essere l’Europa che magari fa fronte comune per l’Ucraina ma poi resta quella dei tappi di bottiglia, delle regolazioni di privacy e IA che strozzano l’innovazione, delle fantasie green che ci inchiodano a switch off regolarmente inattuabili. Senza darsi gli strumenti per debito e investimenti comuni, per una comune industria del digitale e dell’IA, per politiche condivise verso le questioni sociali e di integrazione, l’Europa resterà un gigante immobile, che si offre senza protezioni alle fucilate del populismo e dei ritorni di fiamma autoritari.
Il campo economico
Il dottor Draghi non fa solo radiografie, indica anche terapie. Il suo atto d’accusa contro il formalismo che rende eterna ogni dipendenza, sfocia in una nuova lettura degli “Stati volenterosi”. Qui per lui c’è la via giusta, percorribile hic et nunc anche senza mettere mano ai trattati. La stessa determinazione dei Volenterosi in politica estera va trasferita nel campo dell’economia: “L’Europa potrebbe già andare molto oltre concentrando i progetti e mettendo in comune le risorse”.
Pattinare sui debiti
Draghi ha ripetuto con toni ancora più severi il suo monito di un anno fa. Colpisce che sia un economista a dire e ridire ciò che la politica ha la colpa di non aver fatto, e di esitare ancora a fare. E lo fa con parole che pattinano su debito, pil e politica industriale per sfociare nell’appello politico: “I cittadini europei chiedono che i loro leader alzino lo sguardo verso il destino comune europeo”. Quando lasciò le sue cariche, Draghi si definì “nonno”, forse perché di padri dell’Europa non se ne vedono. L’Europa fu un sogno, ma se non diventa una federazione, unita e veloce nel decidere, ci sveglieremo presto. E i droni sulla nostra testa non chiederanno permesso, non aspetteranno 27 opinioni diverse.
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