Nuovi sorvoli di droni sopra i cieli di Svezia e Danimarca. Ma anche in Ucraina. Una vicenda, quest’ultima, che assume le tinte del giallo e che coinvolge anche le agenzie d’intelligence militari di più Paesi. Questo perché l’esercito ucraino afferma che stavolta «l’ingresso di droni da ricognizione registrato nel nostro spazio aereo» non avrebbe una matrice russa, come lecito aspettarsi: «si tratta probabilmente di droni ungheresi».

A denunciarlo è stato lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, citato dai media di Kiev a poche ore dall’intervento al Palazzo di Vetro dell’Onu. Il presidente – evidentemente a conoscenza di dettagli non ancora resi noti – ha ipotizzato che quei droni «potrebbero aver condotto una ricognizione sul potenziale industriale della difesa nelle zone di confine ucraine». Che cosa ci facevano davvero droni non autorizzati di un Paese alleato in un teatro di guerra? Stavano valutando le opportunità commerciali in vista delle riparazioni di guerra nel post conflitto? O c’è dell’altro? È nota la vicinanza di Viktor Orban a Vladimir Putin e più in generale alle sirene del Cremlino. Senza contare che Budapest dipende quasi totalmente da Mosca in campo energetico: l’Ungheria è il Paese più dipendente dalla Russia di tutta l’Unione europea per quanto concerne petrolio, gas ed anche energia atomica (Rosatom, il gigante energetico moscovita, è in procinto di costruire due nuovi reattori lungo il Danubio, grazie a un appalto per miliardi di euro).

Ma vi sono anche altri aspetti che segnano la stretta relazione tra i due Paesi e, tra questi, il potere di veto che Budapest (come, per la verità, anche gli altri Paesi membri) strumentalizza a piacimento per perseguire i propri interessi nazionali. Anche se il voto per unanimità è una prassi più che un obbligo, Orban non manca mai di utilizzare questo strumento. E, di solito, lo utilizza quando più fa comodo al Cremlino – come per l’adesione di Kiev all’Ue. Ora, con l’avvicinamento alle elezioni parlamentari del 3 aprile prossimo e i sondaggi in caduta per il partito del premier Orban, Fidesz, la tentazione di farsi aiutare da Mosca in cambio di qualche informazione, appare più che una suggestione o una ricostruzione giornalistica.

Fidesz al momento è tallonato, anzi secondo i sondaggi superato, dal neonato partito liberal-conservatore ed europeista Tisza, guidato da Péter Magyar: la nuova opposizione sembrerebbe raccogliere il 43% dei consensi, mentre il partito di Orbán solo il 39%. Un bel problema per Orban, ma ancor di più per Vladimir Putin, che sull’Ungheria e sulla Serbia conta moltissimo per continuare a influenzare (e destabilizzare) l’intera Europa politica a proprio vantaggio. In campo politico ma anche dell’intelligence militare. L’Ungheria, parte integrante dell’Alleanza Atlantica, ospita la base NATO Camp Croft a Veszprém, dove peraltro è schierato anche un contingente italiano, nell’ambito dell’operazione Forward Land Forces. Un tassello di grande peso per la sempre più ampia opera di rafforzamento della difesa/deterrenza lungo il fianco orientale dell’Alleanza. In risposta alle recenti provocazioni di Mosca e ai continui sconfinamenti dei suoi jet e droni un po’ in tutto l’arco occidentale, è emersa l’urgenza di Bruxelles nel creare un «muro di droni» lungo quella parte del confine dell’Unione più esposta alle minacce. È a questo che sta lavorando alacremente il commissario europeo per la difesa, Andrius Kubilius, insieme ai ministri della Difesa dell’Ue.

Un lavoro che richiederà almeno un anno prima di essere operativo, anche perché si pone contestualmente l’obiettivo di «migliorare l’interoperabilità e l’integrazione tra gli eserciti dei Paesi membri». Cosa non facile, soprattutto dal punto di vista industriale: fonti europee sostengono che, a una prima analisi, per difendere il confine europeo servono «milioni di droni intercettori». Solo sola Lituania, che condivide con Russia e Bielorussia una frontiera di 900 chilometri, necessiterebbe di 3 milioni di velivoli. Numeri da economia di guerra ma calati in uno scenario realistico, considerato che un sistema di rilevamento efficace e coordinato al momento manca all’Europa. Ecco perché su chi e perché continua a sconfinare nei cieli europei, resta inevasa.

Luciano Tirinnanzi

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