Dopo una vita in Paraguay, dove ha lavorato nei quartieri più poveri della capitale lungo il fiume che dà il nome al paese, il sacerdote gesuita Francisco de Paula Oliva, 93 anni, nato a Siviglia, in Spagna, il 14 ottobre 1928, è morto lunedì ad Asunción. Ha vissuto la rivoluzione sandinista in Nicaragua, ha combattuto attraverso le omelie e l’azione missionaria contro il dittatore Alfredo Stroessner e il Partito Colorado in Paraguay.
È stato espulso in Argentina, ha scampato un tentativo di rapimento, ha vissuto anche in Nicaragua, poi come rifugiato in Inghilterra grazie ai buoni uffici della Chiesa anglicana e del suo superiore di allora padre Jorge Mario Bergoglio, e poi in Ecuador fino al suo ritorno in Paraguay nel 1996. Il suo nome completo era Francisco de Paula Oliva, soprannominato pa’i (piccolo padre, in Guaraní, come si chiamano in Paraguay), e negli anni si è trasformato in un emblema della lotta quotidiana per l’uguaglianza sociale in Paraguay, uno dei paesi più diseguali d’America, dove una ridotta minoranza possiede la grande maggioranza della terra. “San pa’i Oliva”, ha scritto la storica paraguaiana Margarita Durán. E ha aggiunto: «Se n’è andato senza smettere di sorprenderci. Un grande tra i grandi. Aguyje pa’i [grazie padre, in Guaraní]».
Ad esprimere dolore per la scomparsa, tra gli altri, figurano l’ex presidente dell’unico governo di centrosinistra della democrazia paraguaiana, l’ex vescovo Fernando Lugo, e l’attuale presidente, il conservatore Mario Abdo Benítez. «Compagno instancabile di tutte le lotte e di tutte le rivendicazioni per le ingiustizie sociali», lo ha definito Esperanza Martínez, senatrice paraguaiana del Fronte Guasu ed ex ministro della Salute. Oliva divenne gesuita nel 1946 e nel 1964 si stabilì in Paraguay per lavorare come insegnante. Divenne cittadino paraguaiano l’anno successivo e nel 1969 venne espulso dalla dittatura di Alfredo Stroessner che mal sopportava quello strenuo oppositore politico nel nome del Vangelo. Venne accompagnato alla frontiera con l’Argentina, paese in cui rimase nove anni, assistendo i migranti paraguaiani e boliviani a Buenos Aires mentre era sotto sorveglianza della polizia e dell’esercito.
Su invito della Chiesa anglicana ha potuto recarsi in Inghilterra proprio quando la Giunta militare argentina aveva deciso di arrestarlo. Era il 1978 e padre Bergoglio, allora provinciale della Compagnia di Gesù, accompagnò personalmente all’aeroporto il confratello, braccato dai militari, favorendo la sua fuga in Inghilterra e, in pratica, salvandogli la vita, come dichiarò in un’intervista all’agenzia Aica nel 2015, alla vigilia della visita del Papa in Paraguay. Fu commovente l’incontro tra i due, ad Asunción. Pa’i Oliva è stato uno dei religiosi più famosi del continente, proprio per aver condiviso la vita dei più poveri e averli sempre difesi. «Era il leader morale della rinascita dei movimenti popolari, grazie al suo lavoro nei bañados – ha detto all’agenzia stampa cattolica Sir l’esperto di diritti umani nel Continente, Cristiano Morsolin -. Ricordo il mio incontro con pa’i Oliva nell’agosto 2012 nel fango dei bañados, dove nel 2015 riuscì a far venire personalmente in visita anche Papa Francesco e il loro abbraccio emozionato era il riconoscimento al simbolo della Chiesa in uscita in Paraguay, dove i poteri forti dei latifondisti recriminavano contro le taglienti omelie del gesuita».
Un riconoscimento importante lo ha avuto nel 2020, quando l’attuale regina di Spagna, Letizia, ha chiesto di incontrarlo durante la sua recente visita in Paraguay, lodandone l’impegno sociale. «Ci sono due Paraguay: quello dei potentati economici e poi il resto, contadini e classe media, e indigeni». E riassumeva in poche parole il suo impegno: «Per tutta la vita ho cercato di aiutare le persone a pensare», come «la goccia d’acqua che cade sulla pietra e alla fine la rompe». Nel 2004 in un’intervista (una delle molte che ha concesso) in riferimento alla situazione del Paraguay, alla domanda se e in che modo poteva cambiare la situazione di ingiustizia strutturale, rispondeva: «Sì, spero che possa cambiare. Si noti che più del 30% della popolazione ha meno di 15 anni e il 39% ha tra i 15 e i 30 anni. Quasi il 70 per cento di tutta quella popolazione giovane è disoccupata. Ci sono 7.000 insegnanti disoccupati e altri 5.000 lasciano ogni anno. C’è un grande potenziale di cambiamento perché ci sono quasi un milione di voti. Ma questi giovani non sono iscritti nelle liste elettorali e a nessuno importa che lo siano. Saranno loro che dovranno lottare per farsi spazio nella vita politica paraguaiana, perché nessuno gli darà niente. Questa è la speranza del Paraguay: il potenziale dei suoi giovani».
